De Vivo: come far crescere il brand

De Vivo: come far crescere il brand

Scopriamo il processo d’internazionalizzazione di un brand artigianale campano: De Vivo. Una serie di scelte e processi sviluppati negli ultimi anni al fine di diffondere all’estero prodotti innovativi e tradizionali

DE VIVO IN ITALIA E ALL’ESTERO

Dallo scorso ottobre i panettoni De Vivo sono in vendita sul sito www.sacla.co.uk, portale dedicato ai prodotti di qualità made in Italy selezionati da Saclà per il mercato del Regno Unito. Un ulteriore traguardo raggiunto per questa storica realtà campana, nata negli anni Trenta a Pompei come panificio e già presente con i suoi prodotti in Svizzera, Francia, Russia, Germania, Ucraina, Canada e Spagna. Un mercato, quello estero, che a oggi incide sul fatturato complessivo di De Vivo per circa il 10%, con circa 2.000 lievitati venduti oltre confine su un totale di oltre 20.000. Numeri non altissimi in assoluto, ma certamente importanti per una realtà totalmente artigianale che conta su un solo laboratorio (unici macchinari utilizzati, quelli per impastare e gestire il freddo). E comunque numeri destinati a crescere: tra i prossimi obiettivi vi è quello di aprire sempre più strade Oltreoceano e soprattutto verso i Paesi Arabi.

I PRODOTTI PIU’ RICHIESTI

All’estero, come in Italia, i prodotti più richiesti sono quelli della tradizione partenopea: sfogliatelle, babà e pastiere, capisaldi di una pasticceria che deve molto alla cultura gastronomica di quella terra, ma che nonostante questo non resta ancorata alla propria storia. Da ricordare in questo senso prodotti come il babà in vasocottura al Mojito, la linea Passione Campania, ma anche la scelta di un capo pasticcere come Maurizio “Black” Santin che ha arricchito l’offerta con mignon moderne, torte che ammiccano alla moda internazionale e monoporzioni di grande impatto estetico. A tenere le redini dell’attività, assieme alla sua famiglia, Marco De Vivo, al quale abbiamo chiesto di raccontarci come è possibile coniugare la qualità e i numeri di una produzione artigianale con la presenza sui mercati esteri.

Qual è stato il vostro primo passo verso i mercati oltre confine?
Tutto è nato con le fiere di settore: da Milano Golosa a Re Panettone, alle tante manifestazioni organizzate anche a livello locale. Particolarmente importante per noi è però il Taste di Firenze perché è specificamente orientato alle piccole aziende di nicchia.

Partecipate anche a fiere all’estero?
No, sono i buyer stranieri che vengono in Italia alla ricerca di prodotti d’eccellenza.

E come avviene l’incontro con il buyer?
Sono molti i fattori in gioco. Spesso anche buyer di realtà molto importanti si presentano tenendo un basso profilo, e solo in un secondo momento nasce un rapporto che è prima di tutto personale. Poi ovviamente ci vengono richieste garanzie di qualità, produttività, competenza, e l’azienda spesso vuole assistere direttamente alla lavorazione in laboratorio.

Su cosa si basa la scelta del buyer?
Molti si affidano semplicemente al gusto italiano per riproporlo nel loro Paese, altri scelgono tra i prodotti quelli più affini alla propria tradizione gastronomica.

Realizzate anche prodotti ad hoc per i vari mercati?
Capita, sì. Al momento stiamo portando avanti uno studio sui panettoni salati, settore nel quale siamo pionieri, perché in Inghilterra, oltre al prodotto da ricorrenza, ne vorrebbero uno gastronomico da vendere tutto l’anno. Fermo restando però che questo non significa che, una volta elaborato, il prodotto sarà necessariamente un’esclusiva di quel mercato. L’altra faccia della medaglia però sono i numeri… Sì, noi nei numeri siamo limitatissimi. Quando vendiamo ai nostri partner comunichiamo loro un budget massimo.

E questo che aumento dei prezzi comporta all’estero? Complessivamente un 15-20 per cento.

In Italia tra i vostri retailer c’è anche La Rinascente. All’estero? Principalmente enoteche, salumerie o macellerie specializzate che hanno mantenuto il nome ma sono a tutti gli effetti delle gastronomie di alto livello.

Come gestite le spedizioni?
Con piccoli lotti scaglionati in più mandate, in modo da garantire un ricambio di prodotto fresco. La nostra produzione ha una shelf-life molto bassa, dai 60 giorni a un massimo di 120 per i prodotti con bagna alcolica. Ovviamente è fondamentale mantenere la catena del freddo e le aziende alle quali ci appoggiamo per il trasporto garantiscono questo fattore sia a noi sia ai destinatari, attraverso una certificazione specifica.

Dal punto di vista legislativo avete incontrato difficoltà con l’estero? Diciamo che molti Paesi, anche in Europa, hanno regole proprie soprattutto da un punto di vista fiscale e di cartellino. Di difficoltà se ne incontrano parecchie, ma noi le viviamo come sfide dalle quali imparare ogni volta qualcosa.

La più complessa da gestire?
Quella legata agli alcolici. Noi non abbiamo il deposito fiscale, abbiamo tentato in tutti i modi di avere informazioni ma è davvero un mondo inaccessibile. Alla fine ci siamo dovuti affidare a un partner che ci appoggia in questa operazione, ed è una cosa che non rientra nelle nostre modalità, vorremmo occuparci di tutto in prima persona. Ma all’estero è così praticamente ovunque, a parte forse il Canada, con il quale esistono accordi meno restrittivi.

Chi è il vostro cliente all’estero?
Spesso emigrati o figli e nipoti di emigrati, amici di italiani che hanno sentito parlare o assaggiato i prodotti tipici della nostra terra, o turisti che li hanno provati direttamente in pasticceria.

Fate promozione all’estero?
No, sarebbe troppo complesso e costoso, anche perché niente funziona come la fascinazione personale vissuta sul posto o il ricordo di un sapore di famiglia.

Il mercato più vivace?
Quello svizzero.

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