La chiave del successo di Giovanni Pina sta in un’offerta che mixa al punto giusto le sue radici, le tradizioni locali e l’innovazione tecnica e tecnologica di stampo internazionale. Un professionista che ha imparato tanto e oggi ha tanto da insegnare
Siamo nel 1920. Il nonno, anche lui di nome Giovanni, fonda la Pasticceria Giovanni Pina e nel 1924 si trasferisce nell’attuale location, in centro a Trescore Balneario, a circa 14 km da Bergamo. L’attività procede a gonfie vele passando nelle mani dei due figli, ossia il padre e lo zio di Gianni, il quale fin da bambino ha respirato il profumo dell’arte bianca. Oggi, raggiunti i 53 anni, Giovanni Pina conduce con fierezza, da solo, la pasticceria fondata quasi un secolo fa. «Nella mia vita – afferma Giovanni Pina – ho raggiunto tanti traguardi, ho commesso tanti errori, ma tutto mi è servito per poter affermare con orgoglio ciò che sono oggi. I capisaldi della mia pasticceria sono ancora quelli di un tempo, ossia i valori della materia prima eccellente, il rispetto del cliente e la soddisfazione massima di quest’ultimo. Ovviamente sono cambiate tante cose negli anni, lo scenario di mercato, la concorrenza, il sistema economico, le relazioni con i clienti, con i dipendenti e con i miei famigliari. A livello micro e macro è come se fosse cambiato tutto il mondo intorno a me. Ma una cosa è sempre rimasta immutata: la mia passione per questo mestiere, l’amore per ciò che ha costruito la mia famiglia prima di me, e l’orgoglio di tenere alta l’insegna che porta il mio nome».
Facciamo qualche passo indietro, fin da ragazzino sei entrato in pasticceria?
No, in realtà ho fatto 3 anni di studi alla Facoltà di medicina. Per supportarmi a livello finanziario iniziai a lavorare in laboratorio, e non ho ancora smesso. A un certo punto, a metà degli anni Ottanta, vengo a conoscenza di un piccolo gruppo di pasticceri di Brescia che invita importanti maestri dall’estero. Così conosco Iginio Massari e divento partecipe di quel movimento che ha fatto crescere la pasticceria nel nostro Paese: l’Accademia dei maestri pasticceri italiani. Inizio a frequentare la CAST Alimenti dove mi formo con i “maestri sacri” della vecchia scuola, della “pasticceria intelligente”. La mia predisposizione alla conoscenza e le mie basi chimico-scientifiche mi hanno portato ad approfondire tutte le tematiche tecniche della pasticceria. Fin da giovane la mia curiosità mi spinge a fare esperienza in Spagna e Francia. Nel 1989 approdo a Le Cirque e mi fermo 3 anni a New York.
Prima dicevi che una volta il contesto era diverso… era migliore?
Senza dubbio. I miei genitori, i miei nonni, hanno fatto tutta la vita un lavoro pesante, ma hanno avuto le loro soddisfazioni, umane ed economiche. Oggi il sistema Italia non permette di guadagnare, ci costringe a lavorare per non soccombere alla pressione fiscale e per salvaguardare gli interessi del personale. Oggi ci troviamo di fronte a mille adempimenti burocratici che assolviamo noi stessi o deleghiamo ad altri: per cui ci serve assistenza fiscale, tecnica, giuridica, legale, normativa, tributaria, finanziaria, gestionale, amministrativa…
Come funzionare bene in tale quadro?
Ho diversificato tantissimo la mia attività dedicandomi a dimostrazioni, docenze, consulenze, scrittura di libri, trasmissioni televisive ecc. Ho razionalizzato tutti i processi produttivi eliminando tutto ciò che era inutile o che non rendeva oltre la spesa. Soprattutto ho capito che la chiave, almeno per me, nel cuore di un paese di 5mila abitanti, la soluzione non era quella di stravolgere completamente la mia realtà e la mia immagine. Sono convinto che una pasticceria super moderna e minimalista non si addica al mio contesto. Ho preferito puntare sulla mia vera identità: recuperare le mie radici e valorizzarle in chiave scientifica da una parte, e dall’altra inserire qualche innovazione, frutto del mio gusto e della mia creatività.
Credi dunque che la pasticceria moderna non sia la strada maestra?
Vedo molta omologazione in giro. Tutti fanno le stesse cose, i clienti cercano le stesse cose. Vedo anche molta confusione, questo anche per colpa del bailame mediatico, che se da una parte ha fatto esplodere le professioni di chef e pasticcere, dall’altra induce molti a travisarne dell’essenza. A mio avviso l’essenza della pasticceria è nei dolci tradizionali, nelle torte da forno che, ovviamente, vanno valorizzate a livello culturale e tecnico. Pensateci un attimo: secondo voi quali sono i due pasticcini che fanno grandi numeri della mia pasticceria? Cannoncini e bignè. Ne vendo circa 800 di uno e dell’altro, alla domenica. Secondo voi con quale altro prodotto potrei sostituirli? Perché se si fa una torta moderna si prepara l’inserto, si usa l’anello, si fa attenzione alle altezze e alla proporzioni, alla finitura e alla decorazione, mentre se si fa una torta all’italiana è tutto lasciato al caso? Io ho applicato le basi scientifiche della pasticceria moderna a quella tradizionale, per cui un pan di Spagna è sempre alto 2,4 cm e viene diviso in 3 parti da 8 mm, con farciture alte 8 mm per un’altezza complessiva della torta di 4 cm. Una torta così, abbinata all’eccellenza delle materie prime, al taglio è molto più pulita e straordinaria al palato.
Facci qualche esempio di dolce tradizionale rivisitato…
Ho rimesso a punto un dolce tradizionale, “L’amor polenta”, un dolce tipico del varesotto, fatto in uno stampo scanalato. Gli ho cambiato la forma, trasformandolo in uno zuccotto che capovolto dà l’impressione della polenta sformata. Utilizzo i prodotti del mio territorio, in questo caso il mais spinato di Gandino oppure il Rosso antico, varietà di granoturco autoctone con caratteristiche ben precise.
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