In attesa della grande finale internazionale del C3, Chocolate Chef Competition, che si terrà a New York a ottobre, Ettore Beligni ha iniziato una nuova avventura al The Fat Duck di Londra, dove è capopartita della pasticceria nella squadra dello Chef Heston Blumenthal
Qualcuno lo chiama talento. Per altri è predestinazione. A volte è semplicemente passione. Quella che vedi negli occhi del papà chef, che si porta le torte a casa per terminare il lavoro, quella che senti nei dolci usciti dalle mani di mamma, sempre pronta a sfornare qualche delizia per la famiglia. Passione. La stessa che ha portato Ettore Beligni sul podio più alto del C3, Chocolate Chef Competition di Valrhona.
Ventotto anni, alle spalle già una lunga esperienza in cucina e nel suo futuro la finale internazionale del C3 che si svolgerà a ottobre a New York.
Chi è Ettore Beligni e com’è nato il suo lato dolce?
C’è sempre stato. A 8 anni mi ustionai entrambe le mani per provare a fare il croccante. A 14 ho trascorso l’estate ad Arezzo e facevo il commis di sala, in un ristorante dove mio padre era lo chef. Sbirciando il lavoro in cucina, capii che il mio posto era lì, dall’altra parte. Se però devo mettere una data all’amore per la pasticceria, allora dico il 2008 all’École d’Alain Ducasse a Parigi. Ero là per un corso di formazione. Vedere come lavoravano i francesi cambiò completamente il mio modo d’intendere la cucina. Con Gaetano Trovato al Ristorante Arnolfo di Colle di Val D’Elsa (SI) ho approfondito gli studi e affinato le mie abilità. Gaetano ha creduto in me lasciandomi spazio di espressione. Mi ha lasciato crescere, mi ha motivato, mi ha fatto trovare la mia strada. È stato importante avere come insegnanti i fratelli Trovato, due colonne della ristorazione italiana, simbolo di grande eleganza e prestigio del made in Italy.
A ottobre volerai a New York per la finale internazionale del C3. Ti troverai a sfidare i più grandi della pasticceria, chi temi di più?
Temo tutti e nessuno, credo che siano assolutamente degli ottimi avversari
con cui confrontarsi che cercheranno di dare il meglio di loro durante la finale. Da parte mia sto cercando di prepararmi nel miglior modo, studiando, sperimentando, lavorando duro come faccio sempre senza lasciare nulla al caso. Seguirò i consigli dei miei maestri del cuore, puntando su professionalità e tecnica. In questi anni hai lavorato in tanti ristoranti.
Cosa ti hanno dato a livello di formazione professionale e umana?
Il duro lavoro, abbinato alla giusta passione e alla curiosità, portano a conoscersi meglio, capire le proprie forze e soprattutto i lati da migliorare. Con il tempo ho acquisito più sicurezza sia a livello professionale sia umano. Mi sono conosciuto meglio, ho compreso le mie attitudini e i miei limiti e ho lavorato su quelli, sempre spinto dalla voglia di conoscere. La curiosità è l’ingrediente che non deve mai mancare nelle ricette di un pastry chef. È quello che ogni volta ti spinge a conoscere cose nuove, quindi a crescere, anche sbagliando.
Da aprile sei pasticcere al “The Fat Duck”, uno dei più noti ristoranti di Londra, tre stelle Michelin, al fianco dello chef Heston Blumenthal. Come vivi questa nuova avventura professionale?
Come un onore. Sono capopartita di pasticceria e ogni giorno metto alla prova le mie conoscenze e imparo qualcosa di nuovo. Soprattutto ho imparato molto su me stesso. La cucina del The Fat Duck è rigore e organizzazione, tutto è calibrato per funzionare al meglio e ognuno spinge al massimo per arrivare al risultato finale. Un modo di lavorare che mi sta mettendo alla prova e che credo che mi sarà molto utile in vista della finale del C3.
Quanto è importante per un giovane pasticcere misurarsi con esperienze di questo tipo e mettersi alla prova?
È fondamentale per confrontarsi con i propri limiti e superarli, ma è altrettanto importante affrontare ogni sfida al momento giusto, quando si ha sulle spalle una conoscenza del lavoro, teorica e pratica, approfondita e puntuale. La pasticceria è formazione e crescita costante, bruciare le tappe e arrivare in cucina impreparato è un danno soprattutto per te stesso. Con ritmi di lavoro così alti non hai la possibilità di imparare cosa stai sbagliando e così resti indietro. Il tempo per formare la propria cultura lavorativa è fondamentale per continuare a crescere come professionista.
Ai giovanissimi aspiranti pasticceri che consiglio daresti?
Lo stesso che do a me stesso: lavorate, lavorate, lavorate. Studiate, cercate, sperimentate. Crescete sempre. Non date mai nulla per scontato e metteteci passione, impegno e determinazione.
Come definiresti il tuo stile in pasticceria?
Non ho uno “stile”, piuttosto un modo di essere: il mio. Cerco di creare piatti equilibrati, puliti alla vista e al palato. Amo sperimentare anche con ingredienti non italiani e ho un debole per la frutta esotica che abbino al cioccolato, ma non solo. Mi piace sperimentare nuove combinazioni, ma allo stesso tempo amo rivisitare i classici della tradizione.
Come nasce un dessert?
Spontaneamente. L’idea per un nuovo piatto arriva da un’infinità di suggestioni, non sempre legate alla cucina. Senti un canzone, incontri una persona, ti fermi a osservare un paesaggio e arriva l’idea. L’esperienza con Valrhona, per esempio, mi ha ispirato molto, soprattutto il lavoro di Gianluca Fusto che ho seguito con particolare attenzione. Una volta capito quello che voglio fare, trasformo l’idea in un dessert partendo da un concetto estetico di equilibrio di forme, colori e consistenze.
Quali sono le tue regole per comporre una carta dei dessert?
La prima regola è la stagionalità delle materie prime perché credo che sia d’obbligo proporre gli ingredienti nel loro momento migliore e lasciarci trasportare da ciò che la stagione ci offre. Poi è importante capire la filosofia dello chef, per poter creare un menu in armonia con lo stile della cucina. Infine, ma non meno importante, c’è l’equilibrio della carta con proposte senza ripetizioni, ma non in antitesi tra loro.
Chi è il tuo maestro, a chi ti ispiri?
Non so se riesco a sceglierne solo uno. Gianluca Fusto che mi ha incantato per il suo lavoro sul cioccolato; Frank Haasnoot con le sue creazioni che sembrano opere d’arte contemporanea; Roger Van Damme con la sua cucina raffinata e di ricerca.
Il tuo dolce della memoria, quello che “temi” di più?
La torta di fragole di mia nonna per me è casa. È il profumo dell’estate e dell’orto da cui venivano raccolte le fragole più succose. È una carezza che mi porto sempre nel cuore. Ed è la stessa che temo di più, come tutte le torte della tradizione che hanno bisogno di cure e rispetto.
Chi sarà Ettore tra 10 anni?
Un uomo sposato con una bella famiglia numerosa e una piccola pasticceria nel mio paese in Toscana. E se sarà fortunato sarà anche un docente di pasticceria che forma le nuove leve. Semplicemente felice.