Chi non ha mai fatto merenda? Nessuno. La merendina è un prodotto dolce da forno, oggi consumato perlopiù nella sua versione industriale, confezionata in singole porzioni a base di pandispagna, pasta frolla, o pasta brioche, semplice o farcita, nata per fornire un’alternativa veloce alla tradizionale merenda casalinga o alla colazione fatta al bar. Nel 1970 si producevano 40 mila tonnellate di merendine. Appena 10 anni dopo, sotto la pressante richiesta che arrivava dai 10.597.344 nuovi nati, le tonnellate di merendine prodotte diventano 70 mila. Per arrivare a toccare le 130 mila tonnellate nel 1990, le 200 mila tonnellate nel 2.000, stabilizzandosi poi attorno alle 217 mila (delle quali circa 175 mila circa destinate al consumo interno) nel 2010. Per un controvalore, alla produzione, di quasi 980 milioni di euro. La ripartizione per canali di vendita vede in testa i supermercati (50%), seguiti da ipermercati (15%), libero servizio (15%), discount (11,5%) e tradizional grocery (8,5%). Mentre dal punto di vista delle tipologie, la croissanterie copre il 34% delle vendite, i tranci il 33%, i minicake il 20%, seguiti da crostate 6%, tortine 4% e panini 3%.
L’allargamento progressivo dell’universo di riferimento di consumo (non solo bambini, ma anche giovani adulti e un po’ tutti i componenti della famiglia, nonni compresi) ha mantenuto i consumi a livelli coerenti con i nuovi dettami della sana ed equilibrata alimentazione: il procapite annuo è di circa 3,5 kg a testa, mentre i bambini non arrivano a 3 merendine a settimana. Durante un incontro organizzato da sito www.merendineitaliane.it – un sito che si occupa di alimentazione e benessere con un focus sulla merenda e le merendine, con il supporto di un comitato di esperti- Sergio Grasso, antropologo alimentare ha ricordato la radice etimologico del termine “merere, ovvero meritare. Infatti la merendina dovrebbe essere un metodo per gratificare un bambino. E’ diventata una abitudine alimentare, da quando si è passati dal consumo di 3 a 5 pasti. Deve rappresentare il 10% dei pasti ed è una abitudine Made in Italy. Non e è uno snack, è qualcosa di più, è un alimento, ma soprattutto un aspetto della dolceria italiana”.
LA PRIMA GENERAZIONE DELLE MERENDINE: IN PRINCIPIO FU IL MOTTINO E IL MITICO BUONDI’
La prima generazione nasce nei primi anni Cinquanta con il Mottino: un panettone mignon trasformato, per intuizione di uno dei padri dell’industria alimentare italiana -Angelo Motta- in pratico fuoripasto e lanciato sul mercato all’inizio degli anni Cinquanta. Un prodotto che può, di diritto, fregiarsi del titolo di capostipite di tutte le merendine. Nelle confezioni del Mottino, veniva regalata la carta d’identità del panettoncino stesso, con tanto di foto all’interno, dati anagrafici e analisi chimico/fisica..La vera svolta “culturale”, però, si ebbe nel 1953, quando il Mottino si trasformo nel Buondì, marchio che a partire dal 2006 è di proprietà del gruppo Bistefani, che divenne, in breve tempo, il nuovo must per la colazione degli italiani. Tanto che, a casa come al bar, la frase “cappuccio e brioche” si tramutò, ben presto, in “cappuccio e Buondì”.
ANNI SESSANTA: BRIOSS E FIESTA, INIZIA L’ERA DELLE MERENDINE DI “PRIMA GENERAZIONE”
Negli anni ’60, iniziò anche la produzione del Pandorino formato mignon del tipico dolce natalizio veronese, la cui marca di riferimento è Bauli. Negli stessi anni, però, oltre ai dolci tipici delle feste, ad essere riproposte sottoforma di merendine furono soprattutto le torte casalinghe, dagli ingredienti semplici e di facile lavorazione, che diventarono per l’industria dolciaria italiana lo spunto per le merendine di “prima generazione”, a base, cioè, di pasta margherita, pandispagna e pastafrolla, variamente farcite con confettura o cioccolata. Nel 1961, ad esempio, arriva sul mercato la Brioss, uno dei primi prodotti di successo della Ferrero: soffice trancino di pandispagna, semplice negli ingredienti e nella lavorazione proprio come un dolce casalingo. Farcito con marmellata di albicocche o di ciliegie, legò il suo successo anche alle prime raccolte punti, tra le quali il famoso concorso promozionale “una giornata con il tuo calciatore preferito” che segnò, letteralmente, un’epoca. Stesso anno, altro grande classico dell’azienda dolciaria di Alba, arriva la Fiesta, morbido pandispagna con una bagna al profumo di arancia e curacao ricoperto di cioccolato, una ricetta sofisticata resa possibile dall’innovazione tecnologica. Questa merendina giocherà da protagonista nell’era di Carosello. Il jingle dei “Ricchi e poveri” e i tormentoni “Fiesta ti tenta tre volte tanto”, “Nutre che è un piacere” o “Non ci vedo più dalla fame” diventano presto familiari per i consumatori italiani.
ANNI SETTANTA: ARRIVA LA GIRELLA E LE PRIME MERENDE DEL MULINO BIANCO
Nel 1973 è la volta della Girella, prima vera merenda golosa dedicata ai più piccoli, entrata nella storia del costume per l’inconfondibile forma a spirale, da mangiare in mille modi diversi, e per la rèclame a cartoni animati che vede tutt’oggi l’indianino – Toro Farcito – costretto a difendere la sua merendina preferita dagli assalti del Golosastro, che vuole rubargliela. E’stato il primo prodotto ad inserire una sorpresa all’interno delle confezioni, inaugurando l’accoppiata merendine/sorpresine che ancora oggi fa la gioia di tanti collezionisti. Nel 1975, è la volta di Kinder Brioss, nel 1978 si avvia la “Linea merende” della Barilla. Assieme ai prodotti oggi dimenticati dei Dondoli e delle Trottoline nascono due “grandi classici”: il Saccottino, brioche lievitata farcita all’’albicocca, al cioccolato o alla crema, e la Crostatina, mini torta di pasta frolla in due versioni, alla marmellata e al cioccolato, apprezzati dai bambini anche per le divertenti sorpresine in scatola che si trovavano in ogni confezione. Gli anni ’70 sono anche quelli che legano, nell’immaginario comune, le merendine a personaggi come Il Mugnaio Bianco e Clementina, i protagonisti della prima campagna pubblicitaria TV del Mulino Bianco, ambientata nella “Valle Felice”, con un claim che diventerà storico: “Mangia sano, torna alla natura”…
ANNI OTTANTA: TRIONFA IL CIOCCOLATO, MA SUL FINIRE INIZIA LA STAGIONE DELLA LEGGEREZZA
Dal 1981 al 1986 si affermano sul mercato: Kinder Colazione Più, fatti con 5 diversi cereali con un pizzico di cacao, i Tegolini e i Soldini, pan di spagna farciti e ricoperti al cioccolato. Altro successo del 1986, lo Yo-Yo, che prosegue sul filone delle merendine golose al cioccolato e che fa il verso alla moda dei “paninari”. Sul finire del decennio le merendine entrano però nella loro “seconda generazione”: ovvero cominciano ad adeguarsi a nuove e diverse esigenze nutrizionali dettate anche da una crescita da parte dei consumatori italiani ad un più sano e corretto stile di vita. Nelle loro ricette, ora, compaiono tra gli ingredienti anche le fibre e lo yogurt. E’ l’epoca delle Camille, soffici tortini alle carote e mandorle, e dei Plum cake, ammorbiditi dall’ aggiunta di yogurt. Sul fronte economico-finanziario, gli anni Ottanta sono segnati dall’entrata di capitale straniero, con acquisizioni che riguardano marchi prestigiosi anche nel settore alimentare. Gli anni ‘80 sono, per eccellenza, il periodo del boom delle merendine confezionate. La vastità della scelta presente nei supermercati comincia a essere un segno del successo riscosso da questi prodotti, la cui penetrazione all’interno delle famiglie italiane comincia a toccare punte significative. Come sottolinea Sergio Grasso: “è l’epoca della generazione bim bum bam, una generazione felice, con una visione del futuro, conoscitrice del benessere, con famiglie soddisfatte, che vede la televisione senza esagerare e che spera in una globalizzazione “da perfezionare”. I giovani hanno un ruolo riconosciuto dalla società.”
ANNI NOVANTA: LA GENERAZIONE BIM BUM BAM SCOPRE LE MERENDINE REFRIGERATE
Gli anni Novanta segnano un’ulteriore rivoluzione: ad emergere sono le merendine refrigerate con latte fresco pastorizzato –Fetta al Latte, Pinguì, Kinder Paradiso– che sono golose ma apportano anche un significativo contenuto di calcio e proteine nobili. Ai bambini queste merendine piacciono molto per l’esterno al cacao, e la fresca crema al latte con cui sono farcite. La Ferrero diventa presto leader assoluto di questo mercato, che a fine decennio, ad un ritmo di crescita di circa il + 10% annuo, arriva a toccare le 8.000 tonnellate per un valore di 80 milioni di euro e una penetrazione nel 27% delle famiglie italiane. Ma sono anche gli anni di due altri prodotti di grande successo come i Flauti (1997) e Yogo Brioss (1995): in entrambi il segreto è nella semplicità. I primi riproducono l’idea del panino farcito con cioccolato, crema o marmellata, i secondi puntano invece sul morbidissimo pan di Spagna, reso soffice dallo yogurt utilizzato nell’impasto e goloso da una cremosa farcitura preparata con confettura di albicocca e yogurt. Sul finire degli anni 90 nasce anche la Croissanterie Bauli che interpreta un classico della prima colazione, morbido, gustoso e digeribile grazie alla lenta lievitazione naturale. Negli anni 90 cambiano soprattutto le occasioni di consumo e si arriva a un target sempre più ampio di consumatori: grazie anche alla riscoperta, ad esempio, della colazione all’italiana, a base di caffè, latte e brioche, il 35% degli italiani consuma, infatti, le merendine a colazione, il 20% durante il break di metà mattina, un altro 35% come merenda pomeridiana e il restante 10% in altri momenti.
ANNI DUEMILA: CONFEZIONI PIU’ PICCOLE, MENO CALORIE
Nel corso degli anni 2000, le merendine vivono una fase di radicale cambiamento e ripensamento. Da una parte una nuova etica della produzione spinge le aziende a rivedere i propri prodotti di successo alla ricerca del miglior equilibrio tra leggerezza e gusto. Dall’altra una competizione sempre più forte sul mercato, vede nell’innovazione di prodotto l’arma vincente per le aziende di marca, anche nei confronti dei prodotti imitativi delle private label e delle aziende più piccole con posizionamento sui discount. Sempre il progresso tecnologico permette la nascita di nuovi materiali e nuove tecniche di confezionamento che consentono di salvaguardare meglio la freschezza del prodotto e le sue caratteristiche di gusto e morbidezza con un occhio più attento anche alle risorse ambientali. Diminuisce anche l’apporto calorico complessivo (da circa 200 kcal a 170-180 kcal, per le più sostanziose, rispetto a una media di circa 130-150 kcal per le più leggere, ma ci sono anche merendine che hanno appena 100 kcal). Cala la quantità di zucchero e di grassi saturi ma soprattutto spariscono i grassi idrogenati e con essi gli acidi grassi trans che ne derivano (oggi ce ne sono meno di 0,1 % in una merendina). E l’obiettivo è di continuare su questa strada – all’interno di un percorso condiviso con il Ministero della Salute – per arrivare a dei prodotti ancora più alleggeriti in grassi saturi, zuccheri e calorie (entro il 2014) di un ulteriore 5%.
DONNE, LAVORO E MERENDINE
Negli anni la merendina si è trasformata per andare incontro ai cambiamenti della società e all’evoluzione delle abitudini alimentari degli italiani. Non è un caso, infatti, che abbia avuto il momento di maggior successo in concomitanza con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, all’inizio degli anni 70 e ancora di più nei due decenni successivi. La storia delle merendine s’intreccia, infatti, indissolubilmente, con un’altra storia, fondamentale nello sviluppo della nostra società: la progressiva crescita del tasso di occupazione delle donne, dal dopoguerra a oggi. Nel 1950 nel 70% delle famiglie italiane l’uomo lavorava e la donna no. Oggi questa realtà rimane vera solo nel 15% delle famiglie, visto che quasi il 60% delle donne sposate lavora. Anche molto, visto che le donne sposate con bambini piccoli assommano (tra impiego in ufficio e attività a casa) oltre 60 ore settimanali d’impegni lavorativi. L’industria è andata incontro all’esigenza delle donne di risparmiare tempo, immaginando la versione “confezionata” di quelli che erano i dolci preparati dalle mamme per la merenda dei propri figli. Nel periodo 1950-1960 risultano impiegate circa 5 milioni di donne, con un tasso di occupazione di circa 1 donna su 4 (25%). Seguono due decenni bui, nel corso dei quali il boom economico e l’industrializzazione penalizzano proprio le donne, che dopo aver conquistato un livello di occupazione del 28%, nel secondo dopoguerra, sono costrette a fare passi indietro – in venti anni si perdono quasi 1 milione di posti di lavoro al femminile – per tornane, nel 1970 a un tasso di circa il 25%. In questi venti anni cresce in maniera esponenziale il numero delle casalinghe e viene coniato il termine “casalinghitudine”: sono gli anni del cosiddetto “baby boom”. Le nascite in Italia si attestano attorno alle 900 mila l’anno, con un picco (oltre 1 milione di nati) proprio negli anni della crisi economica del 1964 e 1965. A partire dai primi anni Ottanta, parte però la cosiddetta “rivoluzione silenziosa” e il numero delle donne che lavorano cresce, seppur lentamente, in maniera continua: 34% nel 1980, 38% nel 1990, 39% nel 2000. Per arrivare all’attuale 46,8%, pari a oltre 9 milioni di donne lavoratrici. Il doppio circa di quante erano impiegate negli anni Cinquanta. Diminuisce invece progressivamente il tasso di natalità, arrivando a stabilizzarsi a circa 500 mila nati l’anno, con un tasso di fertilità del 9%, più che dimezzato rispetto a quello registrato negli anni Cinquanta. I figli nati nel decennio Sessanta-Settanta, si ritrovano dunque bambini proprio quando le mamme vengono chiamate in massa nel mondo del lavoro. E le merendine – pratiche, igieniche, sicure, in monoporzioni – diventano sempre più di casa nelle famiglie italiane. – M.Viani