L’importanza, talvolta sottovalutata, delle food hall realizzate da Rinascente si spiega con una semplice analogia internazionale. È quasi inevitabile, per chi visita Londra, un passaggio da Harrods con conseguente shopping e sosta lunch. Lo stesso vale per Galeries Lafayette a Parigi o per Kadewe a Berlino. Quel tipo di department store, in Italia, è Rinascente, in particolare nei suoi due flagship di Milano Duomo e Roma Tritone. Perché le food hall rappresentano un polo di attrazione nel percorso in-store grazie ai 16 ristoranti realizzati al loro interno e ai food market dai numeri ingenti: sono 700 i brand presenti a scaffale e 1.800 le etichette complessive tra wine e spirits, comprese le edizioni limitate. Pierluigi Cocchini, Ceo di Rinascente, evidenzia in quest’intervista l’importanza economica e quella funzionale dell’offerta food&beverage nella logica del traffico interno agli store.
Quanto contano le food hall e quanto, in generale, l’offerta f&b all’interno di Rinascente?
Se analizziamo soltanto il fatturato, rischiamo di non comprenderne appieno la strategicità. E comunque genera un giro d’affari di 60 milioni di euro tra market, bar e ristoranti: ragguardevole, ma non fondamentale se comparato al miliardo di euro di fatturato complessivo della società. I pesi sono differenti a seconda della location. A Milano Duomo, per esempio, si arriva a 37 milioni di euro su un fatturato totale di 400 milioni, con un’incidenza quindi prossima al 10% che è tra le più significative nei nostri store. Il punto cruciale è un altro: la ristorazione, in Duomo come a Roma Tritone, è una sorta di magnete per i flussi verticali di clientela, perché spinge le persone a salire dai piani inferiori a quelli superiori proprio per provare l’esperienza food e per scoprire cosa offriamo nel nostro market. A tal fine, la presenza di terrazze panoramiche in entrambi i flagship è fondamentale come elemento attrattivo, ma il food rafforza questa sorta di forza motrice dell’elevazione nei piani.
Cosa distingue l’offerta di Rinascente da quella degli altri grandi department stores europei come Galeries Lafayette o Harrods?
Harrods può vantare la forza del “fresco”, avendo al suo interno la presenza di operatori dai quali si può fare la spesa di vari generi alimentari, dal fornaio alla pescheria. In Rinascente questa possibilità è impedita dalle dimensioni, perché in Duomo operiamo su 21.000 metri quadrati di superficie totale mentre Harrods a Londra sarà quattro volte tanto… Ed è sempre l’aspetto dimensionale a limitare, per quanto riguarda la cantina, la nostra selezione di etichette: ne abbiamo 2.500 in wine cellar, presidiamo piuttosto male i francesi ma non abbiamo lo spazio per ampliare l’offerta e quindi ci siamo concentrati sul meglio dell’offerta italiana. Detto questo, io credo che, dal punto di vista della “vibrazione”, la food hall di Rinascente sia uno dei posti più intensi del mondo, e l’intensità si avverte molto chiaramente anche negli spazi destinati alla vendita o nella parte della cioccolateria. Il rapporto tra superficie di vendita e incassi è eccellente. Inoltre, i nostri ristoranti hanno superato la distinzione tra i vari momenti della giornata, con la cucina sempre aperta: avendo a che fare con un pubblico internazionale, magari di passaggio in città, è normale che si debba mettere a disposizione la possibilità di consumare un pasto in qualsiasi orario. Non è stato facile superare la barriera dell’orario, ma l’adeguamento degli operatori presenti al nostro interno è risultato piuttosto veloce.
Tra i brand di ristorazione presenti al vostro interno, quali considerate quelli più importanti?
Sono tutti egualmente importanti per una semplice ragione: un department store deve essere in grado di accogliere chiunque, dal turista al residente, dalla famiglia con bambini alla coppia, agli amici, a chi cerca il luogo per un veloce pranzo di lavoro. Per questo, esattamente come accade nei reparti tessili, la food hall deve garantire un buon bilanciamento di formule e di marchi. Duomo, da questo punto di vista, costituisce un ottimo esempio. Abbiamo la ristorazione di Maio, che qui ha sviluppato un format completamente diverso rispetto alle sue origini legate al catering e alla trattoria. Abbiamo Obicà, che vi è entrata forte della sua esperienza internazionale. Abbiamo quindi una cucina di impronta milanese, una italiana/internazionale, lo Champagne bar, il sushi di Basara, la carne di Be Steak, i panini di De Santis che sono destinati a ottenere un ampliamento di superficie. E poi, in annex al piano terra, il poké di Poke House, le pizze alla pala di Farini Venezia e, al basement floor, i sandwich, le healthy bowl e i cocktail di God Save the Food.
Come state gestendo la parte dolci e con quali prospettive di sviluppo?
La cioccolateria è, al pari dell’enoteca, il nostro fiore all’occhiello perché al suo interno sono presenti sia eccellenze ben strutturate della produzione italiana di cioccolato sia realtà familiari focalizzate sull’estrema qualità e alle quali, durante l’anno, offriamo dei momenti per raccontare al pubblico il proprio laboratorio e per far degustare il prodotto. Sono momenti importanti per loro e anche per noi, perché diventano una ragione di visita da parte del cliente finale. Ed è fondamentale l’aspetto formativo di Rinascente tra i produttori di nicchia, sia per lo sviluppo di un determinato packaging che spinge le vendite sia per la focalizzazione su una determinata categoria di clienti o su certi periodi dell’anno, quelli di punta per il cioccolato o per i prodotti da ricorrenza. I risultati poi si valutano in termini di sell out… Lo scorso Natale, a fronte di un prezzo medio che sfiorava i 50 euro a confezione, abbiamo venduto complessivamente 55.000 panettoni e siamo arrivati a fine anno con zero stock. Certo, questi risultati non arrivano per caso, sono il frutto di un lavoro programmato per un anno intero.
E il gelato? Sarà il prossimo step?
Già abbiamo delle rappresentazioni di categoria nel periodo estivo, una scelta che riteniamo giusta perché Rinascente intende rappresentare il meglio dei prodotti italiani e intende farlo nelle stagioni ideali per il consumo, dando più spazio al cioccolato durante l’anno e al gelato quando la temperatura aumenta. E lo facciamo, come da nostro stile, collaborando con partner esterni, creando una sorta di shop in shop all’interno della food hall. Il problema è sempre lo stesso: il limite dimensionale, a cui cerchiamo di ovviare attraverso spazi pop up dedicati a rotazione ad alcune categorie di prodotto per porre l’accento sulle stagionalità del food: vale per il panettone nel periodo natalizio, per il tartufo in autunno, per il gelato o per il gin nel periodo estivo.
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