La filiera del gelato artigianale si sposta verso Asia e Nord America

Macchinari, ingredienti, competenze professionali, franchise: l’Osservatorio di Italian Exhibition Group traccia una mappa dei mercati internazionali maggiormente dinamici, come Asia e Nord America. Crescita del 6% per le catene. Sentiment positivo per l’export nei primi mesi del 2021: atteso un rimbalzo a due cifre
La filiera del gelato artigianale si sposta verso Asia e Nord America

Asia e Nord America sono le nuove frontiere del gelato artigianale. A confermarlo è l’Osservatorio Sigep. L’export degli ingredienti e semilavorati viaggia infatti sulle rotte di Cina e Sud Est asiatico e cresce anche in Medio Oriente. Puntano verso l’estero i tre quarti dei macchinari per la produzione di gelato, con una ripresa del mercato tedesco e l’exploit della Corea del Sud. Segnale interessante per l’internazionalizzazione delle gelaterie arriva dalle insegne estere, in aumento negli ultimi 18 mesi a livello globale.

INGREDIENTI

L’export di ingredienti per il gelato artigianale nel 2019 segnava una crescita del 6% sul quadriennio precedente e da lì riparte puntando a Oriente. «Il gelato è meteoropatico, segue la bella stagione a tutte le latitudini – osserva Roberto Leardini, presidente del Gruppo Prodotti per gelato di Unione Italiana Food. Ecco allora la crescita importante che registriamo in Medio Oriente; trend iniziato prima della pandemia. Cina e Sud Est asiatico sono mercati agli albori, da cui arrivano segnali di interesse e con un potenziale enorme nonostante il numero di gelaterie ancora molto basso». Anche Stati Uniti ed Europa mostrano vitalità. «Il mercato europeo totalizza circa il 60% dei nostri volumi di produzione. Ricordo che la Spagna è il terzo mercato europeo, dopo la Germania, per il gelato artigianale, il cui potenziale è legato all’economia turistica. Interessante anche la Polonia. Ora quello che occorre è una promozione strutturata e sostenuta che parte dall’ICE e arriva alle aziende, passando per le Camere di Commercio», conclude Leardini.

MACCHINARI

Tra macchine per la produzione e vetrine frigo, il 75% della produzione italiana di tecnologie professionali per le gelaterie esce dal Paese. Il 2021 mostra segnali positivi da Germania e Corea del Sud. «In Italia il nostro settore – spiega Marco Cavedagni, presidente di ACOMAG, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani di macchine per gelaterie – ha ricevuto una spinta dagli incentivi per Industria 4.0. Ma usciamo da un periodo in cui, tra il 2019 e il 2020, in media, abbiamo perso tra il 30 e il 35% della produzione. Il sentiment per la prima metà del 2021 è positivo, ci attendiamo un rimbalzo a due cifre, con la Germania molto dinamica». Cavedagni continua: «bisognerebbe proporre la rottamazione energetica: il parco macchine delle gelaterie italiane è spesso funzionante ma obsoleto. Grazie alle nuove tecnologie si potrebbero risparmiare molta acqua ed energia. Ad oggi l’Italia è leader indiscusso, con l’80% dei macchinari mondiali. Diverso è però il segmento dei macchinari per il gelato soft. Le direttrici sono dettate dalle grandi catene e i costruttori italiani hanno guadagnato terreno. Anche se il grosso della produzione è americana». Carpigiani, leader di settore, trova invece nel Far East un exploit. «Nell’anno 2020/2021 l’export di macchinari – dichiara Achille Sassoli de Bianchi, Market Development Director di Carpigiani SpA – ha raggiunto il 90% a valore della nostra produzione. I Paesi esteri in cui stiamo riscontrando i risultati migliori sono la Corea del Sud, USA e Regno Unito. E anche l’Italia sta avendo una stagione particolarmente positiva».

CORSI PROFESSIONALI

Un altro parametro per misurare il tasso di internazionalizzazione del gelato artigianale viene dalle conversioni tra iscrizioni a corsi di specializzazione professionale e nuove aperture commerciali. Le monitora Carpigiani per la sua Gelato University. «Nell’anno accademico 2018/19 – aggiunge Kaori Ito, direttrice della Carpigiani Gelato University – abbiamo registrato 6.000 iscritti ai corsi nei 20 campus nel mondo, di cui 2.500 in quello di Bologna. Di tutti questi, il 12%, cioè circa 300, ha risposto alla nostra survey “Where are you now?” confermando di aver aperto un punto vendita. Per l’anno accademico 2020/21 abbiamo conteggiato gli iscritti ai corsi online proposti sempre dalla sede di Bologna perché il dato aggregato degli altri campus tra chiusure e riaperture legate alla pandemia non è ancora completo. Dei 1.350 iscritti ai corsi online tra il 1° settembre 2020 e il 17 giugno 2021 e quelli dei corsi in presenza ripresi a giugno, notiamo che se UK, USA e Canada rimangono nella top ten, c’è sicuramente un balzo dell’India, della Turchia e della Malesia. Le ragioni di questo balzo sono da ricercarsi in costo più accessibile dei corsi online, una grande offerta di corsi in inglese, il superamento della difficoltà di ottenere un visto per entrare in Italia o anche soltanto sostenere le spese di viaggio».

CATENE

«Da un monitoraggio condotto sul network Top International Gelato Chains – dichiara Antonio Verga Falzacappa, fondatore di Sistema Gelato, che accompagna le principali realtà della filiera del gelato artigianale nei processi di capitalizzazione e internazionalizzazione – con oltre 600 punti vendita in 30 nazioni, negli ultimi 18 mesi è emerso un saldo positivo del 6%, pari a 36 unità su scala globale. Se teniamo conto che questi investimenti, tra aperture dirette e affiliazioni, si pianificano con almeno un anno di anticipo, possiamo concludere che se non vi fosse stata la pandemia, la crescita del settore sarebbe stata senz’altro più sostenuta. Da registrare il dinamismo espresso da marchi come l’americana, con solide radici italiane, Gelato Go, e poi le italiane Venchi e La Romana che crescono rispettivamente nel Far East e in Medio Oriente. Infine, il caso della spagnola Borgonesse che conta giusto una decina di punti vendita tra Madrid e l’Andalusia, con una forte impronta manageriale, e che vuol differenziare la propria presenza fuori dai confini nazionali. Sono segnali importanti per il made in Italy perché da una nostra stima, per ogni apertura di un punto vendita all’estero, abbiamo su base decennale un effetto trascinamento di oltre 500 mila euro tra macchinari, vetrine, attrezzature e ingredienti per le nostre filiere».

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