Tim Ricci conquista per l’eleganza delle sue creazioni, per la cura del dettaglio e la continua ricerca di migliorarsi. Non è un caso se i ristoranti che lo hanno scelto alla guida delle loro pasticcerie hanno presto conquistato la stella Michelin
La gioia per la conquista della prima stella Michelin l’ha condivisa, seppur per pochi mesi, con il grande e indimenticabile chef Franco Rizzuti, suo grandissimo amico e mentore. Dopo la scomparsa di Frank, Tim si allontana dalla pasticceria: troppo intenso il dolore, troppo pesanti i ricordi dei sogni e dei progetti spazzati via. Solo il tempo può allora aiutare a ritrovare la strada e la motivazione, per non vanificare tanta passione condivisa.
Si riparte più avanti, quando arriva la chiamata di un altro grande chef, Giuseppe Misuriello. Prende forma così un altro disegno, una figura si ricompone, con una forza e una luce ancora più intensa: è nuovamente la forma di una stella.
Come è nata la tua passione per la pasticceria?
Sono sempre stato attratto dal mondo dell’ospitalità e della ristorazione di alto livello. La cultura del mangiare bene e dell’accoglienza è radicata nella mia famiglia e mi è stata trasmessa in particolare da mia madre. La cura dei dettagli mi ha sempre affascinato. Per questo la pasticceria mi ha stregato: permette di esprimersi al meglio, dal punto di vista estetico e gustativo, riuscendo a coinvolgere più sensi contemporaneamente, con un unico prodotto.
Raccontaci del tuo percorso professionale…
Dal punto di vista professionale la mia storia ha avuto il suo inizio grazie all’amicizia con Franco (Frank) Rizzuti, anche lui autodidatta, che grazie a studio e passione è riuscito a diventare uno chef affermato e di grande successo. Insieme abbiamo condiviso viaggi, cene, letture, studi e soprattutto un immenso amore per il mondo del food. Quando Frank decise di aprire il suo nuovo ristorante a Potenza, che avrebbe portato il suo nome, ho condiviso il progetto, in tutti gli aspetti, fin dall’inizio. Senza dire una parola, mi sono ritrovato a curare il settore pasticceria, in ogni sua fase. È stata per me un’importantissima esperienza: entrambi eravamo carichi di entusiasmo ed energia. In poco più di un anno è arrivata la stella Michelin. Una gioia di breve durata, purtroppo soffocata dal male incurabile che in pochi mesi ci ha portato via Frank.
La morte di Frank ha lasciato un grande vuoto…
Per me ha rappresentato una brusca battuta d’arresto. Dopo un periodo di pausa, ho capito che sarebbe stato sciocco non continuare quello che di buono avevamo iniziato, e disperdere tutta quell’energia che Frank aveva saputo generare. Così ho cercato di implementare le mie conoscenze mediante diversi corsi, in particolare con alcuni tra i migliori pasticceri a livello mondiale. Questo ha fatto riaccendere in me la scintilla della passione per questo lavoro.
Come è ripartita la tua attività?
Un altro chef e amico, Giuseppe Misuriello, mi ha presentato nel 2018 l’opportunità di lavorare insieme alla riapertura della Locanda Severino a Caggiano. Ero pronto a rimettermi in gioco. Anche in questa occasione è arrivato presto il riconoscimento della guida Michelin, che ci ha premiato con una stella. Questa è stata la consacrazione del fatto che la scelta di continuare in questa direzione fosse quella giusta.
Di cosa ti occupi oggi?
Oltre a collaborare in qualità di pastry chef alla Locanda Severino, mi occupo di consulenze per altri ristoranti. Non ho smesso tuttavia di seguire i grandi maestri internazionali, tanto che recentemente ho iniziato a lavorare come traduttore di corsi di livello professionale per alcuni di loro. Questo mi offre la grande opportunità di poterli conoscere meglio, di ricevere ulteriori stimoli, che mi aiutano a riflettere e a migliorare.
Quali altri chef e pasticceri ti hanno ispirato?
Ce ne sono tanti. Sicuramente tutti quelli che ho avuto la fortuna di conoscere di persona mi hanno insegnato qualcosa, ben oltre l’aspetto puramente tecnico. Di Cedric Grolet mi hanno colpito la genialità, l’eleganza, ma soprattutto la ricerca della purezza del gusto. Di Frank Haasnoot ho apprezzato l’idea fissa di non conformarsi, di cercare di pensare sempre “out of the box”. Di Guillaume Mabilleau mi piace
la capacità di semplificare al massimo tutti i passaggi, mentre Amaury Guichon mi ha colpito per il suo essere un vero enfant prodige, ma con il piglio del grande maestro.
Cosa contraddistingue la tua pasticceria?
Quello che cerco di ottenere sono sicuramente l’eleganza stilistica e la purezza del gusto: un gran dolce deve colpire già a prima vista, poi il sapore deve confermare la bellezza estetica e rispettare gli ingredienti che lo caratterizzano. Non amo l’eccesso di decorazioni: al contrario, cerco raffinatezza e sobrietà delle forme. Tuttavia, quello che ritengo più importante ma anche più difficile da realizzare è la creazione di un proprio stile, che da una parte riesce a diversificare e dall’altra rappresenta un filo conduttore di tutto il lavoro e del percorso. Su questo sto lavorando molto.
Il tuo motto?
Sicuramente “Keep It Simple, Stupid” (regola KISS). Cercare di stupire con la semplicità, giocando sul giusto equilibrio degli elementi, è sicuramente il mio obiettivo.