La famiglia di Nicola Dobnik è scappata dalla guerra in Bosnia. Lui, in Italia ha deciso di lasciare il segno, di entrare nell’olimpo dei migliori Pastry Chef. Ha rappresentato il tricolore a New York, nella finale del mondo del C3 Valrhona. A Torino è il braccio destro dello chef stellato Matteo Baronetto. Insieme faranno la storia
Nicola Dobnik ha rappresentato l’Italia a New York in occasione della quinta edizione internazionale – 46 i Paesi coinvolti – del prestigioso premio, che ha visto negli anni sfidarsi i migliori pastry chef di tutto il mondo, il Concorso C3 Valrhona, dove la sigla sta per “Chocolate – Chef – Competition”. È proprio grazie alla solida padronanza della “tecnica” che abbiamo capito quanto talento ci fosse dietro Nicola Dobnik, pasticcere di appena 25 anni, capace di superare i confini nazionali, figuriamoci quelli del suo laboratorio che prende vita nel quartier generale dello chef stellato Matteo Baronetto. È un’altra cucina blasonata ad aprire però per prima le porte ad un giovanissimo Nicola, quella di Carlo Cracco, la stessa in cui proprio Matteo si forma prima di tornare a Torino per iniziare l’avventura in quella che da tutti è considerata una vera istituzione non solo torinese, il ristorante Del Cambio, nato nel 1757. Ha conquistato una stella Michelin ancor prima di vedere aprire le porte della Farmacia Del Cambio, che occupa i locali adiacenti della storica Farmacia Bestente, fondata nel 1833. Una boutique, un laboratorio del gusto in cui fanno capolino i dolci firmati da Nicola Dobnik con la supervisione di un maestro, campione del mondo, Fabrizio Galla. Nicola Dobnik è nato a Feltre, un paese con ventimila anime, è là che i suoi genitori bosniaci hanno deciso di ricominciare, dopo essere scappati dalla guerra e oggi Torino è diventata la sua nuova casa.
Quando è entrato per la prima volta in una cucina era un lavapiatti. Come è arrivato poi all’Istituto Alberghiero di Merano e alle cucine di Cracco e Baronetto?
Lavoravo d’estate vicino a casa, in una valle del Trentino dove la principale attività dei giovani, e forse anche l’unica, era sciare. Lavoravo negli alberghi per comprarmi gli sci e le cose che non potevamo darmi i miei genitori. Ho conosciuto due cuochi che lavoravano bene, trasmettevano cose belle, ho provato a convincere i miei a cambiare scuola, frequentavo il Liceo Scientifico all’epoca ma non c’è stato verso. Al secondo anno ho insistito ancora un po’ e così papà mi ha accompagnato a Merano. Uscito da scuola ho mandato il curriculum da Cracco a Milano, sapevo che stavano cercando personale. Mi chiamò il suo secondo Matteo Baronetto dicendomi che cercavano un pasticcere e così è iniziato tutto. Poi la mia esperienza milanese è finita e subito dopo anche Matteo Baronetto ha lasciato Carlo per iniziare la sua personale avventura a Torino nel ristorante Del Cambio. Appena arrivato a Torino mi ha chiamato per sapere se volevo continuare a vestire i panni del pasticcere nella sua brigata. È bello far parte di qualcosa che ho visto nascere.
Baronetto prima le chiede di vestire i panni da pasticcere a Milano, un anno dopo le chiede di seguirlo a Torino. Cosa rappresenta per lei Matteo?
Mi ha insegnato cosa vuol dire lavorare, la dedizione al lavoro. Quando penso a qualcuno che lavora e che lavora bene, penso a lui. È la mia guida.
Adesso non si occupa più solo di pasticceria da ristorazione. Cosa è cambiato?
Passando da Milano a Torino è completamente cambiato il mio modo di intendere la pasticceria. Dopo tre settimane che eravamo aperti è arrivato Fabrizio Galla (campione del mondo di Pasticceria nel 2007, ndr) e da lì per me si è stravolto tutto, nel senso buono. A Milano mi occupavo di una pasticceria da ristorante, tendente al salato, con Fabrizio sono ripartito da zero facendo cose nuove. Mi ha dato quell’impronta che oggi trovate nei miei dolci.
Qual è il dessert di sua realizzazione che le piace di più?
Quello presentato alle semifinali parigine del C3 Valrhona due anni fa: il Babà in Perù, con fave di cacao, profumato all’arancia e al limone.
Ha rappresentato l’Italia al C3 Valrhona a New York, al di là del risultato cosa resta?
Mi sono trovato a gareggiare con pasticceri che lavorano nei ristoranti, qualcosa di diverso rispetto alla Coppa del Mondo di Pasticceria che fanno a Lione o ai concorsi del Sigep; lì hai a che fare con pasticceri da laboratorio, mentre al C3 prepari dolci al piatto. Ho avuto la fortuna di preparami con Fabrizio (Galla, ndr), uno che di concorsi ne ha preparati e vinti tanti. La sua impostazione mi è servita molto. Cosa resta? La preparazione, l’allenamento fatto. Fa ridere pensare che un pasticcere si alleni ma è così: prendi i tempi, prepari il tavolo, nel regolamento hai anche le misure esatte. Tante piccole cose che contribuiscono a farti lavorare bene.
Quest’anno a Identità Golose ha vestito i panni del giurato nel C3 Valrhona. Com’è andata?
È stato strano! Tra i concorrenti c’erano ragazzi che due anni fa hanno fatto il concorso con me. Mi sento con Ettore Beligni, il ragazzo che ha vinto e andrà a New York a ottobre. Tornassi indietro alcuni errori non li farei più. Vai dall’altra parte del mondo, devi portarti dietro tanta roba e l’organizzazione è sicuramente la parte più difficile.
Il suo team di quante persone si compone?
«Siamo in quattro, più due stagisti. Da tre anni e mezzo divido il mio lavoro con Maicol Vitellozzi, arrivato dopo 7 mesi che ero qui. La nostra proposta è ampia, va dal pane, ai grissini, ai dolci per la Farmacia, il ristorante… lui si occupa della panetteria, dei croissant che trovate al mattino. Sembra poco ma i suoi sono i lavori più lunghi, perché ha a che fare con i lievitati».
Un nuovo dolce dove nasce? In cucina, su un foglio, dentro un libro di cucina, dall’esigenza dei trend del momento, dalle richieste dei clienti?
È un misto di tutte le cose che hai detto. La cosa più bella è quando ti viene in mente una cosa e poi riesci a farla esattamente uguale. Il nostro è comunque il lavoro di una squadra di quattro persone che si confrontano costantemente con Fabrizio (Galla, ndr) e Matteo (Baronetto, ndr), due grandi professionisti con due visioni molto diverse della pasticceria. Matteo tende ad andare verso il salato mentre Fabrizio è l’esatto contrario. E noi? Noi prendiamo da entrambe le parti, in questo caso è bello stare nel mezzo. Le idee tengono conto del periodo dell’anno in cui siamo e dei menù vecchi, ai quali guardiamo per non ripeterci o per prendere spunti.
La pasticceria francese è la migliore al mondo?
Sicuramente su Instagram fa effetto vederla ma se poi vai a mangiare le cose che facciamo in Italia, per quanto possa essere piccola la mia opinione, credo che il tutto sia più buono. Tra mangiare un gianduiotto o una monoporzione tutta colorata la differenza la senti. Sono più bravi a vendersi e noi dobbiamo certamente imparare da loro. Noi non sappiamo valorizzare e apprezzare quello che abbiamo ma è qualcosa insita nel nostro paese non vale solo nel mondo della pasticceria.
La pralineria come si inserisce in una carta di pasticceria?
Siamo nel campo della pasticceria da laboratorio più che da ristorante. I cioccolatini devono essere perfetti, bilanciati nei sapori e vari. Siamo al lavoro proprio in queste settimane sulle tavolette di cioccolato, stiamo cercando la forma giusta e il sapore perfetto, per essere pronti in autunno.
Architettura di un dolce. Che regole ha il suo design?
Nei nostri dolci di casuale non c’è nulla, Matteo è l’unico che ha per indole e capacità la possibilità di improvvisare. Dietro ogni dolce inserito in carta c’è almeno un mese e mezzo di studio sulle proporzioni degli ingredienti e sulla quantità degli stessi nel piatto. Cerchiamo di tenere sempre una parte cremosa e una croccante e quando riusciamo una parte calda e una fredda ma sono regole che non puoi applicare a tutti i dolci. Abbiamo 8/9 proposte di dessert in carta in modo da poter spaziare da un soufflé cotto al momento, ai classici che non cambiano mai come il gianduiotto o il bonet e poi… poi mantechiamo il gelato al momento.
Vanno così di moda i dolci in 3D. Progettate digitalmente anche voi?
L’unica volta che ho progettato al computer un mio dolce è stato in occasione della finale di New York del C3 Valrhona. Sono partito da uno stampo in 3D del simbolo di Valrhona. Al momento non progettiamo al computer ma facciamo tanti dolci con stampi fatti da noi che nessuno ha. Compriamo il silicone alimentare e andiamo a riprodurre quello che vogliamo, dietro quindi c’è uno studio grafico che parte da uno stampo in gesso, duplicato poi infinite volte grazie al silicone.
Come sceglie una materia prima?
Dal confronto con altre realtà simili, poi devi conservare una buona dose di curiosità, una irrefrenabile voglia di cercare cose nuove e l’umiltà di saper ascoltare i tuoi colleghi. Fabrizio Galla mi ha parlato di una pasta di limone che una volta provata ha preso il posto dell’olio essenziale di limone che avevo usato fino a quel momento.
Qual è il segreto per una sfoglia perfetta?
Devi saperla fare perfetta per dare dei consigli! Dipende da come vengono date le pieghe e dalla temperatura a cui viene stesa. Se fa troppo caldo in laboratorio una sfoglia perfetta non verrà mai.
Cos’è il rinnovamento in pasticceria?
Essere in grado di proporre qualcosa che non è stato ancora fatto. Non potranno mai essere tutti dolci innovativi quelli in carta ma certamente deve esserci sempre quel tocco personale che altri non hanno messo.
Il suo sogno nel cassetto che contorni ha?
Questa domanda me la faccio spesso anche io ma non ho ancora trovato una risposta. Ho iniziato per caso a fare il pasticcere, non era il mio sogno da bambino ecco perché sono “semplicemente” motivato a lavorare con Matteo ogni giorno di più. Non ho un obiettivo, perché quando poi lo raggiungo cosa succede dopo? Fra dieci anni magari non sarò neppure in pasticceria! Credo che fino a 30 anni lavori tanto ma poi arrivi ad un punto in cui ti devi fermare e devi essere in grado di dare un senso al futuro. A 40 anni non posso fare quello che faccio adesso. Continuo a chiedere a Matteo se apriremo delle altre Farmacie, per poterne seguire di più, per sentirmi responsabile di qualcosa che supera i confini.
…e lui cosa le risponde?
Mi dice che le idee ci sono, che servono però i tempi giusti e un incrocio di variabili non facili da far quadrare. Il Cambio durerà nel tempo, si evolverà ed è bello essere qui e portare avanti tutto questo con chi ha creduto in me sin dal principio.
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