Il termine più diffuso da nord a sud pare essere chiacchiere: da Milano a Sassari, dalla Basilicata alla Sicilia, dalla Campania al Lazio fino all’Umbria. Pure a Parma si chiamano così, non nella vicina Reggio Emilia, dove diventano intrigoni. Tra Modena e Bologna si parla, invece, di rosoni o sfrappole o frappe, come quelle che si mangiano ad Ancona o nella capitale e come nella parte romagnola della regione, anche se a Ferrara preferiscono il termine crostoli o grustal. I crostoli si mangiano anche a Rovigo, Treviso, Vicenza, Friuli Venezia Giulia e in Trentino, ma Trento preferisce i “grostoli”. Nella “serenissima” Venezia “navigano“ i galani o le sosole come a Padova e Verona, che si trasformano in gale (o gali) a Vercelli e nella bassa vercellese. Spostandosi verso la Liguria si dicono le “bugie”, specialmente a Genova, Imperia, ma anche in Piemonte, a Torino e Asti, mentre nel sud del Piemonte e a Cuneo si consumano le risòle. Come non ricordare una terra ricca di tradizione come la Toscana, dove a carnevale si friggono i cenci o grosetti. In Abruzzo e a Sulmona preferiscono le cioffe. Mentre non si condiscono come l’insalata, ma si chiamano lattughe o latughe a Mantova. Traghettando sulla ventilata Sardegna si scoprono delle maraviglias. Non pensiate che questo elenco sia esagerato perché ci sono città e regioni che friggono gli stracci, altri ancora le lasagne, le pampuglie, le manzole o le garrulitas. I nomi possono derivare dal tipico “scrocchiare” che fanno sotto i denti (come il molto diffuso chiacchiere), ma anche dalla loro forma che ricorda delle trecce (intrigoun) o degli stracci (stracci, appunto, o cenci). Ogni nome nasconde dunque una tradizione locale, ma anche una ricetta o un modo per servirle.
Tenete sott’occhio la nostra sezione Ricette, per una settimana inseriremo le versioni di pasticceri da tutta Italia.
Tu come le chiami?
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