La migliore cucina del mondo non è né italiana né francese. Nei giorni scorsi è stata pubblicata la classifica mondiale dei migliori ristoranti, i 50 Best. René Redzepi, lo chef del Noma di Copenhagen, ha riconquistato il trono perduto l’anno scorso a favore dei fratelli Roca. L’Italia non ha saputo conquistare posizioni di prestigio, con l’eccezione di Massimo Bottura, che ha confermato il terzo posto. Per il resto è disastro. Davide Scabin non c’è più, gli Alajmo scivolano di quasi venti posizioni, guadagna due posizioni solo Enrico Crippa. Leggendo la classifica si ha la sensazione che l’Italia, come del resto in altre discipline, non sia in grado di esprimere a livello gastronomico l’eccellenza. Perché non sappiamo conquistare i primati che molti si aspettano da noi? Forse non sappiamo interpretare la cucina di alta ristorazione in chiave moderna. L’alta ristorazione non è solo proporre un piatto vincente, ma un intero menù, avere una cantina “ragionata”, avere un servizio professionale. Ovvero essere costanti, offrire uno standard molto alto. Significa stare più in cucina che in televisione e non eccedere in trovate pubblicitarie. Chi va in un ristorante capace di esprimere l’alta cucina si aspetta una vera esperienza multisensoriale. E’ finita l’epoca dello spettacolo. Aspirare all’eccellenza significa mettersi in gioco, essere colti, cercare di superare ogni giorno se stessi. Lo studio, oltre che la passione, sono indispensabili. La cucina si inserisce all’interno di un discorso più ampio, che coinvolge tutti i sensi e che deve essere un percorso, un viaggio. La cucina mediterranea non ha saputo stare al passo con i tempi e rischia di essere superata da quella del Nord Europa. Ricordiamo a tutti che l’Expo è alle porte e sarà un’importante vetrina anche per i nostri ristoranti. Forse è giunta l’ora di ripensare il modo in cui fare e proporre la cucina italiana. Di Monica Viani
Nella classifica dei migliori chef al mondo, l’Italia ha solo una star
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