Dal 2002 ad oggi sono spariti 1500 commercianti alimentari al dettaglio: fruttivendoli, fornai, macellai. Erano 3500, oggi 2000.Nei quartieri della città meneghina cresce la domanda dei mini market di zona. La popolazione invecchia e l’iper diventa scomodo, spesso lontano, affollato. La crisi poi induce a rifuggire dai templi del consumismo, meglio il negozio piccolo, dove non sei indotto a comprare di tutto. Il citymarket è poi social, ti permette anche di scambiare qualche chiacchiera, di recuperare il rapporto con il quartiere.Al contrario, il negozio che propone un unico prodotto tende a scomparire. Negli anni, quasi tutti i commercianti, hanno cercato di allargare il proprio mercato. Ma in fin dei conti, sembra che questa politica non sia risultata vincente. Gli unici a giovarsene sono stati i panettieri: l’80% del loro fatturato è oggi rappresentato dalla vendita di pizzette, focacce, torte, zuppe, torte salate, piatti pronti. Ma anche questo allargamento del mercato non ha impedito la chiusura di molti forni (nel 2002 erano 515, oggi 340). Gli stranieri hanno dato ossigeno ad alcune professioni come quella dei fornai (ormai molti panifici sono gestiti da egiziani) e dei macellai (basti pensare al successo dei kebab). Ora i negozi di vicinato sopravvissuti puntano sui prodotti di nicchia per offrire alternative a ciò che si trova nei supermercati. La parola d’ordine è qualità Di M. V.
Strage di negozi di vicinato a Milano
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