Il mondo del cacao e del cioccolato sta vivendo un periodo di cambiamenti cruciali e rivoluzioni. Le motivazioni sono diverse, complesse e chiamano in causa una serie di fattori: contingenze climatico-ambientali, nuovi riferimenti legislativi, speculazioni di mercato e trasformazione nelle abitudini alimentari dei consumatori. Se, partendo proprio dall’ultimo elemento, questo si è tradotto un’attenzione maggiore a prodotti artigianali e di qualità, altrettanto non si può dire circa la conoscenza delle dinamiche macroeconomiche, ancora troppo distanti rispetto alla comprensione del pubblico, il quale si ritrova a pagare il prezzo più alto, poiché molto spesso privo degli strumenti necessari all’acquisto consapevole. Per cercare di capirne di più, Dolcesalato ha compiuto un’inchiesta sul mondo del cacao e sul bean to bar raccogliendo diversi punti di vista di esperti e opinion leader e individuando varie case history, partendo dalle zone dove si coltiva il cacao e arrivando alla tavoletta.
Uno sguardo al mercato
Nonostante gli esperti avessero lanciato l’allarme mesi fa, solo nell’ultimo periodo l’aumento dei prezzi del cioccolato è diventata una questione di cui occuparsi seriamente, coinvolgendo anche le abitudini di consumo delle famiglie. Le quotazioni del cacao hanno raddoppiato il valore da inizio anno e quadruplicato rispetto ai 2.500 dollari di 12 mesi fa e le previsioni non sono incoraggianti.
La situazione del mercato riflette infatti quanto accade nei due Paesi che sono i maggiori produttori, cioè Ghana e Costa d’Avorio, che coprono di fatto il 65% della produzione mondiale. Qui, il primo fattore determinante è rappresentato dalle cattive condizioni meteorologiche, con la stagione secca (che va da ottobre a marzo) funestata da piogge torrenziali che hanno fatto ammalare le piante, cui si sono aggiunte malattie fitosanitarie (in particolare lo swollen shoot virus) che hanno reso improduttivi gli alberi. Una situazione complessa, ulteriormente aggravata da fattori legati ai contratti di compravendita. Sul mercato del cacao infatti si scambiano contratti future con una determinata scadenza, ovvero titoli di proprietà che a seconda della conferma o meno delle ipotesi di prezzo prevedono un successivo aggiustamento. E il trend attuale, che già seguiva tre stagioni di deficit nelle esportazioni, quest’anno la tendenza negativa ha raggiunto il -30%, ed è su questi dati che si sta giocando il rialzo degli ultimi mesi. I contratti che segnano l’anno dal punto di vista commerciale sono quelli siglati ad aprile, luglio e settembre e i prezzi che oggi vediamo derivano da quanto scambiato a settembre.
Cacao moment
A conferma di queste considerazioni, Andrea Mecozzi, Esperto di filiera e formatore del cacao, sottolinea come quello che stiamo vivendo sia considerato dagli esperti un ‘cacao moment’, cioè un momento di svolta come quello vissuto a fine anni 70’ e a metà anni ’90, periodi che hanno riscritto le regole del settore. Cambiamento nato dalla crisi, certamente, ma che come tutte le crisi porta con sé tante opportunità. “Per esempio, il problema dei costi – che avrà ripercussioni fino al Natale 2025 -, dà anche al piccolo artigiano l’occasione di offrire ai propri clienti un cioccolato di ottima qualità che comunque sarà sul mercato allo stesso prezzo di quello più scadente. Quindi o smette di utilizzarlo, o se lo usa potrà scegliere una materia prima eccellente invece di quella standard”, spiega Mecozzi.
Per quanto riguarda nello specifico il bean to bar, sottolinea: “Purtroppo una parte di chi se ne occupa non resisterà perché non sarà più in grado di approvvigionarsi. Ma i più forti, quelli che hanno filiere dirette, che hanno sempre lavorato su un certo tipo di gamma, resteranno ben saldi e anzi avranno possibilità di espandersi. Io ritengo che ce ne saranno alcuni che diventeranno i prossimi player del mondo del cacao. Un po’ come è successo negli anni ’90 con Amedei e Domori, i primi a tornare a visitare le terre di produzione, a creare rapporti diretti, a recuperare una tradizione che in Italia era secolare e testimoniata, per esempio, dagli archivi di Majani, dando il là, per primi al mondo, alla diffusione del sistema bean to bar”.
Dove nascono le tendenze
Se ci sono tutte le premesse per un cambiamento, a mancare sembra essere la consapevolezza da parte degli operatori. Viste le potenzialità del cioccolato bean to bar, sembrerebbe logico che non solo i cioccolatieri, ma anche pasticcieri, baker, gelatieri e chef, sentissero l’esigenza di accedere a questo mondo, ma le esperienze in tal senso restano ancora limitate. Come spesso avviene, sarà necessario che siano l’industria o i grandi nomi a muoversi in massa in quella direzione, ma esistono già alcune esperienze eccellenti da prendere a modello.
Come quella di Jordi Roca, chef tre stelle Michelin a El Celler de Can Roca di Girona, dove ha aperto anche Casa Cacao, articolato progetto che ruota attorno a un laboratorio di ricerca, tappa ambita nel percorso di molti giovani cioccolatieri. Dal 2023, alla guida del progetto c’è Lorenzo Turina, piemontese classe 1996, arrivato a Casa Cacao per uno stage e oggi head chocolate chef in carica. Il laboratorio di Casa Cacao è un universo dove ricerca sulle genetiche, sulle tecniche di fermentazione e tostatura, sul prodotto finito e sul cioccolato come ingrediente per la cucina si incrociano, in un fermento senza uguali. “La nostra ricerca con i produttori è rivolta a ricercare origini fuori dai canoni, sorprendenti. Al momento abbiamo una fava che arriva dalla Chiapas, un Criollo Porcelana, con una genetica Carmelo 1, rarissima, e utilizzando solo cacao, fave di cacao, zucchero e un po’ di burro di cacao ne abbiamo ottenuto un prodotto che sprigiona aromi incredibili: yuzu, pompelmo, uva passa, miele mille fiori, frutta secca, e poi una nota veramente interessante di speziato quasi piccante, e tutto questo da una sola fava. Un prodotto spiazzante nella sua complessità”. Come complessa è la cucina di El Celler, nella quale, ci racconta Turina, si usano i cioccolati più diversi: “Mi vengono in mente un cioccolato con il tè jasmine, un altro con il tè chai, come il finocchio di mare, con un’attenzione particolare alle note floreali e fruttate che ben si adattano alle esigenze di Jordi”.
Uno strumento fondamentale
Preso atto del cambiamento di paradigma alle porte, chi volesse approcciare questo mondo, ha a disposizione uno strumento nato dalla spinta della nuova normativa europea secondo la quale, dal primo gennaio 2025, “Il cacao e i derivati che entreranno nel mercato europeo dovranno avere un certificato di non deforestazione e di tracciabilità alla parcella. Sarà l’artigiano a dover garantire che i suoi fornitori gli hanno dato queste informazioni – spiega Mecozzi –. Per farlo, una strada sarà quella dell’approvvigionamento in bio, dove la tracciabilità è già regola. Però fino a ieri questa produzione copriva l’1% del mercato, quindi espanderla non sarà facilissimo. L’alternativa è appoggiarsi a una delle poche aziende che già oggi forniscono questi certificati anche in ambito non bio, una delle quali è italiana: Trusty. La novità interessante è che, da poco più di un mese, Trusty ha lanciato un marketplace attraverso il quale è possibile mettersi in contatto diretto con soggetti che hanno un approvvigionamento o che producono cacao. Una realtà che opera attraverso Trusty, per esempio, è Casa Cacao, e quindi oggi un qualsiasi pasticciere ha a disposizione lo stesso strumento di Jordi Roca per approvvigionarsi di materia prima di uguale livello. In questo momento esistono anche strutture finanziarie che stanno iniziando a creare strumenti ad hoc per permettere ai piccoli artigiani di acquistare i prodotti legati al cacao in basse quantità adeguate alla loro produzione, che altrimenti avrebbero prezzi inaccessibili. E ancora, se l’artigiano non ha intenzione di strutturarsi per il bean to bar, esistono sempre più piccoli produttori che iniziano a fornire non solo fave ma addirittura la massa di cacao. E sono già presenti sul marketplace – spiega Mecozzi, che dedica un’ultima riflessione alle tecnologie per il Bean to bar -. Le principali aziende produttrici sono italiane: Selmi, Packint, FBM, IdeoTecnica, e fino a qualche anno fa vendevano i loro prodotti in tutto il mondo, meno che in Italia. L’espandersi di questo mercato può rappresentare dunque un’occasione per l’industria italiana anche da questo punto di vista”.