Sono circa 100mila le tonnellate di prodotto mosso ogni anno dalle aziende italiane del lievito e venduto per metà all’estero. Una storia di successo Made in Italy raccontata in occasione di Sigep dal Gruppo Lievito da zuccheri di ASSITOL durante la conferenza ‘Lievito italiano: storia di un’eccellenza‘.
Materia prima, materia viva
Coltivatori di lievito: così Pietro Grechi, Amministratore delegato di Zeus Iba, ha definito la categoria. Non una frase fatta “ma la sintesi di quello che facciamo tutti i giorni – ha sottolineato –. Il lievito ha bisogno di crescere in condizioni ottimali, che noi assicuriamo attraverso una serie di procedure e tecnologie all’avanguardia. Un approccio che ha consentito al comparto di conquistare una posizione di leadership, soprattutto nel Sud dell’Europa”.
A porre un accento ulteriore sul tema Claudio Bersellini, Direttore industriale di Lesaffre, che ha dichiarato: “Il nostro non è un impegno qualsiasi. Non ci occupiamo di semplici reazioni chimiche, noi coltiviamo un essere vivente. È quindi essenziale prevenire i problemi, lavorando sulla sicurezza dei processi, per poi costruire una vera e propria catena del valore, che ha inizio con le materie prime”. Proprio per garantire la qualità della materia prima, l’industria del lievito italiana mette in atto tutta una serie di strategie sistematiche che garantiscano la completa tracciabilità del prodotto, che implica la selezione esclusiva di fornitori qualificati e costantemente verificati, a tutti i livelli: dal melasso all’imballaggio fino al prodotto di lavaggio.
Altro aspetto su cui tutto il settore lavora moltissimo è la sicurezza sul lavoro. Attraverso controlli analitici ed indagini ambientali si studiano e adottano le misure più adatte per ridurre la possibilità di incidenti in azienda. “Il vero principio guida di tutto il nostro processo produttivo – ha commentato Bersellini – è il miglioramento continuo”.
Elettricità e calore
“Quella del lievito è un’industria energivora – spiega Jacopo Vaja Zurli -. Le due forme di energia più utilizzate sono quella elettrica e quella termica, impiegate nelle attività di santificazione, disinfezione o essiccamento. Nell’industria del lievito in Italia è molto frequente l’utilizzo di sistemi di cogenerazione, che consentono di ottenere energia elettrica e termica simultaneamente. In una dinamica tradizionale, infatti, la quota di energia elettrica effettivamente disponibile a partire da un combustibile corrisponde solo al 40%, mentre il resto si perde nell’ambiente sotto forma di calore. L’utilizzo di sistemi di cogenerazione permette quindi di ottimizzare il processo ed evitare dispersioni dannose“. Un elemento di efficienza che si integra con l’attenzione alla riduzione dei consumi energetici, tema che, a differenza di quanto avviene in altri settori dove può essere sufficiente sostituire macchinari vecchi con nuovi modelli, per l’industria del lievito comporta interventi più complessi. “Nella nostra produzione rinnovare non è sufficiente – sottolinea Vaja Zurli – ma si devono andare a modificare i processi di produzione, migliorandoli per ottenere lo stesso effetto utile ma con un consumo minore”.
Dinamiche circolari
“L’acqua è il substrato nel quale avviene coltivazione del lievito, è un elemento fondamentale per la nostra industria – prosegue Vaja Zurli -. “Per ottimizzarne il consumo, l’industria italiana è fortemente impegnata nel riutilizzo delle acque all’interno dello stabilimento ma anche nel trattamento delle acque finali, applicando processi tra i più avanzati al mondo, principalmente biologici. Processi che rientrano in una dinamica di economia circolare che porta per esempio alla produzione di biogas contente metano in buona parte riutilizzato nel ciclo produttivo. Si tratta di soluzioni che non dobbiamo dare per scontate. Nel fare questo noi siamo stimolati da un Sistema Italia che vanta un quadro regolatorio molto rigido e serio, con limiti tra i più bassi in Europa. Ma nel resto del mondo, il trattamento delle acque non viene spinto, o messo in atto, in modo così efficace e massivo”.
“Altro bellissimo esempio di circolarità – prosegue l’Energy Manager di AB Mauri – è rappresentato dal ciclo melasso-lievito-fertilizzanti o altri sottoprodotti. Tutta l’attività di produzione del lievito è legata a quella dello zucchero, o meglio del melasso. Quindi parliamo già del riutilizzo di un sottoprodotto della lavorazione della barbabietola da zucchero, i cui residui, una volta impiegato per nutrire il lievito, vengono ulteriormente processati per essere trasformati in fertilizzanti organici o in prodotti destinati ai mangimi animali”. L’industria italiana del lievito, infine, è stata tra i promotori internazionali dell’analisi sul carbon footprint completata 2023 da Cofalec che ha portato alla redazione di un report che ha valutato non solo il consumo diretto ma anche le emissioni indirette determinare dall’industria del lievito. “Un’analisi della catena del valore del suo insieme senza precedenti nel comparto, della quale le aziende italiane sono state promotrici”, sottolinea Vaja Zurli.
Lo scoglio della comunicazione
Ma se l’industria è così impegnata nel garantire un prodotto controllato e dall’impatto minore possibile, al cliente finale il messaggio arriva? Purtroppo no, come sottolinea Adriano Albanesi, panificatore membro del Richemont Club: “In laboratorio io non posso fare a meno del lievito di birra perché mi dà la sicurezza di un prodotto costante e la tranquillità di panificare tutti i giorni, permettendo inoltre di realizzare prodotti di eccellenza, con la certezza di una filiera italiana. Da panettiere però mi rendo conto che al cliente arriva un’informazione inadeguata o comunque confusa sul tema. Il consumatore non percepisce la qualità di questo tipo di lievito ma l’artigiano certamente sì”. La sfida futura sarà dunque quella di comunicare l’approccio virtuoso del comparto, una carta vincente in una prospettiva in cui il consumatore sarà sempre più attento al tema della sostenibilità.