Naif, giocherellone, poco incline a prendersi sul serio. Eppure, dietro un’apparenza “leggera” e con i suoi 30 anni appena compiuti, Reynold Poernomo ha dato vita a una vera e propria rivoluzione nel mondo della pasticceria australiana.
Lo ha fatto, innanzitutto, con l’estetica che propone nei locali gestiti a Sydney insieme ai fratelli Arnold e Ronald: KOI Dessert Bar e KOI Experiential. E poi, con la diffusione di un messaggio disruptive: “La pasticceria è un gioco e i tantissimi semplici appassionati che mi seguono sono i giocatori. Io li accompagno a conoscerne le regole, condividendo segreti e trucchetti in tutti i modi, dal mio canale Youtube al mio libro, appena uscito, The Dessert Game, ai Ted Talk che ho avuto l’onore di tenere in giro per il mondo”. Accusato dai puristi dell’arte pasticcera di essere più interessato alle luci della ribalta che a sporcarsi le mani di farina – pur senza vincere è stato protagonista per tre edizioni di Masterchef Australia, ha prodotto una mini serie per Youtube, è stato ospite in decine di trasmissioni in patria e all’estero – è in realtà perfetto interprete della pasticceria 3.0. Un’arte antica che si reinventa anche attraverso la sovra esposizione mediatica, sui canali tradizionali e digitali, senza però sminuire le doti e le capacità che sono necessarie per eccellere nel settore.
D: Nato in Indonesia, emigrato con la famiglia in Australia, oggi dove “abiti” come stile e ispirazione?
R: Il mondo è la mia casa. Sia perché sono sempre in viaggio, sia perché desidero che in ogni mio progetto entrino non solo le mie origini indonesiane, ma le tante suggestioni che ho raccolto negli anni dagli incontri e dalle esperienze che ho maturato: c’è molto Giappone, ma anche tanta estetica scandinava, in tutto quello che faccio. E amo molto l’Italia! Mi piace, in ogni caso, giocare con le contaminazioni: dal cognac francese alla crema di whiskey irlandese, ogni ingrediente può diventare co-protagonista di uno dei dolci che preparo.
D: Hai appena aperto un nuovo format a Sydney, Experiential, in cui dichiari di voler esprimere liberamente la tua creatività. Da dove arriva questa voglia di osare e sperimentare?
R: Ho “respirato” cucina sin da adolescente: è strano perché i miei genitori lavoravano e di fatto non c’era nessuno che facesse da mangiare per noi, ma in compenso avevamo la casa invasa da libri di cucina con ricette molto complesse e sofisticate. Li osservavo e rimanevo incantato di fronte alla storia, ai riferimenti artistici, alla complessità delle preparazioni: è stato così che ho iniziato ad amare il lato artistico della cucina, la narrazione e la creatività. Ma è servito un lungo percorso per arrivare, davvero, a scegliere di lavorare in questo settore: i miei – che hanno una società di catering – mi hanno spinto a compiere prima studi da nutrizionista e poi a sperimentare, nella convinzione che solo una solida conoscenza della materia prima consentisse davvero di fare la differenza.
D: Ti ricordi ancora qual è il primo dolce che hai cucinato?
R: Certo che me lo ricordo: una panna cotta alla vaniglia e limone, che avevo “copiato” da Adriano Zumbo, in televisione, quando avevo 14 anni. Mi era sembrato buono…diciamo che ripensandoci sono contento di non averlo fatto assaggiare a nessuno!
D: E la creazione che ti rappresenta di più?
R: Voglio nominare la mia cheesecake basca, di cui condivido volentieri la ricetta, perché ho sempre amato mangiarla, ben prima che diventasse una mania collettiva nel 2020. E durante il mio stage da Alchemist 2.0, a Copenhagen, sono andato da Hart Bageri a mangiarne una fetta: è stato amore a prima vista. Ho passato anni a cercare di perfezionare una mia versione, ma è solo grazie alla pastry chef indonesiana Chelia Dinata che ho trovato il mix perfetto.
D: Parliamo per un momento delle esperienze a Masterchef: non hai vinto ma sei diventato a tutti gli effetti un’icona…
R: È vero, ho avuto un buon piazzamento, ma senza mai vincere. Però sono stato eletto “re dei dessert” poco prima di essere eliminato e ho ricevuto i complimenti di George Calombaris (noto pastry chef australiano e giudice del programma, ndr): il suo “tu sei destinato a grandi cose” non me lo dimenticherò mai.
D: Nel tuo libro e nelle occasioni di divulgazione usi un tono e un approccio decisamente diversi da quelli che abitualmente caratterizzano la pasticceria. Hai avuto anche critiche o solo elogi da chi ti segue con passione?
R: Ho preso spunto proprio dalla tipologia di interazione che ho con i miei follower, per scegliere con quale tono di voce approcciarmi al pubblico e ho capito che avevo un’ambizione: quella di portarli a realizzare un dolce così perfetto da poter essere scambiato per uno di quelli che vendiamo da KOI. Non scendo certo a compromessi con tecnica e capacità, ma voglio che nessuno si senta intimorito o spaventato. Le critiche, con una sovraesposizione mediatica come quella che ho vissuto, fanno parte del gioco e non mi turbano particolarmente.
Scopri la ricetta della cheesecake basca con glassa bruciata