Nel 2015, Kabir Godi era un giovane Pastry Chef (poco più che trentenne) già a capo delle operazioni di una pasticceria di caratura internazionale come Cova in via Montenapoleone a Milano. In quel periodo viene contattato per un colloquio da uno chef che, proprio quell’anno, debutta come giudice a Masterchef Italia, passaggio che contribuirà all’esplosione della sua fama mediatica: si tratta di Antonino Cannavacciuolo. “A Milano stavo bene, andai all’incontro giusto perché a un colloquio di lavoro non si dice mai di no”, ricorda oggi il pasticciere.
Il primo colloquio non cambia l’orientamento di Kabir, il secondo invece sì. “Mi brillarono gli occhi, perché lo chef aveva già il progetto in mente, perfettamente delineato. Avrei iniziato a Villa Crespi come pastry chef e poi mi sarei dedicato alla realizzazione del suo Laboratorio Cannavacciuolo, a supporto delle strutture esistenti e di quelle che avrebbe aperto in seguito”. L’intesa è totale e a quel punto Godi lascia Milano per tornare a casa. Già, a casa… “Lo chef mi ha cercato e mi ha voluto anche perché io sono nato qui, sul lago d’Orta. E lui, per dare continuità e limitare il turnover in un progetto come il Laboratorio, sapeva che se avesse puntato su un professionista originario della zona, probabilmente avrebbe centrato l’obiettivo”.
D: Quali sono state le sue tappe professionali prima di Cova?
R: Dopo aver appreso le basi in diverse pasticcerie del lago d’Orta e come stagionale in hotel a Baveno, sul lago Maggiore, sono passato a Milano grazie allo chef Giulio Bezzoli, che mi aveva notato e si spese per farmi entrare al Principe di Savoia, dove rimasi per due anni. Poi, per quattro anni, ci fu l’esperienza da Peck e infine da Cova.
D: Quale fu la più formativa tra le esperienze milanesi?
R: Sicuramente quella da Peck, perché lì c’era il ‘fuoco sacro’: eravamo in nove, capitanati da Alessandro Diglio che oggi è in Pasticceria Martesana, tutti giovani e tutti accomunati da una grande passione. Lo ricordo come un periodo dominato dalla ricerca e dalla volontà di fare sempre meglio: anche al di fuori del lavoro, tra di noi non parlavamo d’altro. Quel confronto costante ha dettato un forte accrescimento della professionalità all’interno del team e infatti oggi occupiamo tutti delle posizioni di responsabilità nelle nostre rispettive attività, che si tratti di pasticcerie, catene o altro ancora.
D: Come inizia l’esperienza con Cannavacciuolo?
R: Debutto come pastry chef a Villa Crespi, a capo di quattro persone, con la necessità di ambientarmi in fretta nella nuova realtà che era chiaramente diversa dalla precedente, perché si trattava di uno dei ristoranti più importanti d’Italia. Per un paio d’anni ho mantenuto quel ruolo, ma intanto stava prendendo forma l’idea dello chef e nel 2017 arrivò la giusta occasione, perché fu rilevata dal gruppo la gestione di un locale, l’ex pasticceria Recalchi in centro a Novara, che aveva chiuso da qualche mese. Nell’agosto di quell’anno aprì Cannavacciuolo Bakery.
D: Qual era la logica dell’investimento da parte del gruppo?
R: In quel momento serviva un centro di produzione a supporto di Villa Crespi, dove gli spazi per la gestione della pasticceria sono piuttosto sacrificati, e del Bistrot aperto nel 2015 a Novara. Non che gli spazi della Bakery fossero molto più grandi, ma si trattava di un investimento contenuto e mirato a sondare il terreno: se fosse andato bene, avremmo messo in moto le azioni per arrivare alla realizzazione di un vero e proprio hub per la pasticceria.
D: Risultato?
R: Il lavoro aumentò in fretta, grazie anche alle vendite online che si aggiunsero fin dall’inizio alla produzione per la Bakery e a quella destinata alle altre strutture. In soli due anni la location di Novara si sarebbe rivelata insufficiente. A quel punto il gruppo acquisì a Suno, a metà strada tra Novara e il lago d’Orta, il capannone dell’ex raviolificio San Michele, lo sistemò dotandolo dei migliori macchinari, e nel febbraio 2019 ci siamo trasferiti qui.
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