“Tutti parlano di sostenibilità. Almeno fino a quando le cose vanno bene, perché quando emergono altri problemi questo tema viene messo da parte. Per questo parlare di sostenibilità in tempi di guerra, pandemia e cambiamento climatico è una sfida nella sfida”. Apre così il suo intervento Michele Fino, professore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in occasione della presentazione del Food Industry Monitor (FIM). Tra gli argomenti affrontati i trend di mercato, la natura familiare delle imprese italiane del comparto food. E poi il grande tema della sostenibilità al quale Carlo Petrini ha dedicato il suo discorso conclusivo.
AMPI MARGINI DI MIGLIORAMENTO
Dai dati emersi, il 98% delle aziende italiane del food utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Ma solo per il 22% questa è una scelta esclusiva. Le aziende dedicano particolare attenzione al packaging (che per l’88% è compostabile o da materiale riciclato). Mentre il 57% delle aziende ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale, e il 30% circa delle aziende pubblica il bilancio di sostenibilità. Numeri che prospettano una situazione incoraggiante ma con ampi margini di miglioramento.
UN CAMBIO DI PARADIGMA NECESSARIO
Ma cosa dovremmo intendere per sostenibilità? “La capacità di un sistema di durare nel tempo perché quelle che consuma sono risorse rinnovabili”, sottolinea Fino. “Un sistema dura nel momento in cui non intacca il capitale e vive quanto più possibile sulle risorse che si rinnovano”. Ad approfondire l’argomento l’intervento di Carlo Petrini. Due i presupposti fondamentali del suo ragionamento:
- il sistema del food è il maggiore responsabile del cambiamento climatico
- la siccità sarà la calamità più grave che le aziende dovranno affrontare in futuro.
Se packaging inquinante e sprechi alimentari siano alcuni tra i problemi principali che le aziende devono affrontare nel prossimo futuro, Petrini ha sottolineando come proprio il settore agroalimentare produca il 34% delle emissioni di CO2. “Ma se proprio la produzione di cibo produce danni all’ambiente, è ovvio che dovremmo riflettere su quale cibo vogliamo”, ha commentato Petrini.
IL RUOLO DELL’EDUCAZIONE E DELL’ATTIVISMO
Per affrontare questa situazione, le aziende non potranno limitarsi a insistere sulla parola sostenibilità, il cui abuso avrà come conseguenza un greenwashing portato all’estremo. “A cambiare deve essere il paradigma su cui si basa tutta la nostra percezione, che è quello della crescita infinita” sottolinea Petrini. Fondamentali in questo senso l’attivismo dal basso che mira a cambiare i comportamenti alimentari, tra gli stessi obiettivi dell’Università di Pollenzo. “I giovani sanno che questo modo di consumare il cibo non è più possibile. Grazie ai ragazzi questa fase del mondo può cambiare, ma il mondo ha tempo per arrivare alla fine di questa fase?”.