Flexitarianesimo. Una parola con la quale però dovremo velocemente venire a patti se non vogliamo restare indietro in tema di food trend. Flexitariani si definiscono coloro che, pur restando sostanzialmente onnivori, orientano la propria alimentazione verso una tendenza vegana. O meglio plant based, cioè privilegiando il consumo di frutta, verdura, cereali e legumi. Ed eliminando o tagliando notevolmente quello delle proteine animali.
DI COSA STIAMO PARLANDO
“È una tendenza proveniente dagli Stati Uniti, dove sono in molti ad aver fatto questa scelta. Si mangia sostanzialmente veg per tutta la settimana per poi concedersi qualche sfizio ‘carnivoro’ magari nel week end”. Ecco quanto ci spiega Emanuele Di Biase, chef, consulente e docente di cucina vegana. “Lo fanno principalmente per ragioni legate alla salute e al benessere. Hanno visto che con questo tipo di alimentazione si sentono meglio e hanno limitato molto i problemi di digestione. Ma è un fenomeno che sta diventando sempre più attuale anche da noi, in maniera del tutto spontanea. Il Covid ha giocato un ruolo chiave. Le persone chiuse in casa hanno mangiato tanto e male, con tutti i disturbi che questo comporta uniti a una vita necessariamente sedentaria. Di conseguenza dopo un po’ hanno iniziato a farsi delle domande e a valutare un regime alimentare alternativo”.
I DATI IN ITALIA
Il 33° Rapporto Italia 2021 Eurispes riferisce che l’8,2% della popolazione italiana si definisce vegana o vegetariana. Per il 23,1% questa scelta si inserisce in una più ampia filosofia di vita. Il 17% sceglie prodotti privi di lattosio. Il 13,8% deve invece rinunciare al consumo di glutine. Alla fine del 2020 una ricerca Everli, il marketplace della spesa online, mostrava come la dieta vegetariana sia presente in maniera uniforme in tutta la penisola. Con una prevalenza al centro-nord. Mentre i vegani sono concentrati nelle regioni settentrionali e in particolar modo in quelle della Pianura Padana, con Emilia Romagna e Lombardia in testa. Tra le città primeggiano Bologna, Milano, Pavia, Bergamo, Modena e Parma.
L’EUROPA È FLEXITARIANA
Per quello che riguarda la situazione europea, sondaggi del 2021 realizzati su campioni di popolazione di età compresa tra i 18 e i 29 anni, hanno evidenziato come la Germania sia la nazione con più giovani vegetariani (11%) e vegani (5%) d’Europa. Viene seguita da Polonia, Spagna e Francia (fonte statista.com). Nel Vecchio Continente, il numero di vegani è raddoppiato negli ultimi quattro anni passando da 1.3 a 2.6 milioni di persone. Se includiamo vegetariani, pescetariani (vegetariani che mangiano pesce) e flexitariani, ben il 30,9% degli europei manifesta una certa resistenza nei confronti della carne. Il 22,9% degli europei è flexitariano con percentuali molto alte in Austria (31,8%), Germania (30%), Portogallo (28,6%). Inoltre, il 57% dei flexitariani esprime il desiderio di diventare vegetariano nel prossimo futuro (fonte greenqueen.com.hk).
POTENZIALITÀ INSESPRESSE
E se dunque la domanda di un’alimentazione plant based c’è e, anzi, sembra chiaramente destinata a crescere, lo è inevitabilmente anche quella di una pasticceria che faccia propri i principi vegan. Ma la risposta dei professionisti in Italia com’è? Tiepida verrebbe da dire ascoltando le testimonianze dei pochi che, a oggi, hanno scelto di intraprendere questa strada. A resistere al cambiamento in maniera più forte sembrano essere le attività già consolidate. Queste magari si limitano ad aggiungere uno o due prodotti alla loro offerta per accontentare la richiesta del cliente. Ma non dedicano alla ricerca in senso vegano pari attenzione e passione rispetto a quella che portano avanti da sempre. Spiega sempre Di Biase: “con la mia Academy tengo lezioni one to one frequentate principalmente da professionisti. Posso dire che degli ultimi 10 contatti 7 sono di persone che fino ad oggi hanno fatto tutt’altro. Però hanno deciso di cambiare la propria vita aprendo un’attività legata alla cucina o alla pasticceria vegana. Attività che possono risultare anche economicamente più vantaggiose di quelle classiche. Questo perché le materie prime vegetali hanno costi inferiori. Ovviamente è necessario essere un bravo imprenditore che sa fare gli acquisti giusti e sa impostare una cucina o un laboratorio validi. Con queste premesse però è più facile fare numeri con un’attività veg che con una tradizionale”.
LA RICHIESTA
Anche dal punto di vista della ricerca & sviluppo aziendali c’è un certo fermento. Di Biase, che ricopre il ruolo di consulente per vari brand, ci spiega: “in questo momento la richiesta forte è da parte di tutti. Nessuno vuole rinunciare ad avere nella propria gamma prodotti vegani. Sia che si tratti di grandi marchi che vogliono sviluppare qualche proposta alternativa o magari un’intera linea, sia che si tratti di piccoli brand che lavorano 100% vegetale. In questo senso la pasticceria sta facendo passi da gigante. Basti pensare che qualche anno fa avere una bevanda di soia o un cornetto vegano erano rarità. Oggi invece c’è un’ampia scelta non solo per il cliente ma proprio a livello di prodotto alternativo che permette al professionista di ottenere ottimi risultati”.
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