Guidati dallo chef Massimiliano (Max) Mascia, scopriamo passato, presente e futuro del prestigioso ristorante San Domenico di Imola, che vanta una storia tra le più affascinati della ristorazione italiana. È infatti firmata da alcuni tra i nomi più rinomati della nostra gastronomia: Gianluigi Morini, che fondò il ristorante nel 1970, Giacomo (Nino) Bergese, i fratelli Valentino e Natale Marcattilii. Dopo soli tre anni dall’apertura, il San Domenico ottiene la prima segnalazione sulla Rossa, nel 1975 la stella Michelin e nel 1977 la seconda, che ancora oggi brilla nelle sue sale. Sono solo gli anni ’70, ma il ristorante si dimostra già estremamente attuale e rivoluzionario nel suo nuovo modo di pensare la ristorazione, che fino a quel momento era vissuta come sola alternativa alla tradizione domestica. Era giù un luogo dove si respirava il futuro dell’alta cucina. Il San Domenico è il ristorante due stelle Michelin più longevo d’Italia. Oggi vive una nuova stagione, senza tradire mai la sua storia e i suoi 51 anni di successi, con uno sguardo sempre rivolto al suo illustre passato, ma che si rinnova ogni giorno nella freschezza, cultura ed empatia dello chef Max Mascia. La proposta del San Domenico è resa unica dalla cura perfetta dell’accoglienza, dove eleganza e raffinatezza si ritrovano in ogni singolo dettaglio. Ma anche grazie alle solide radici di una cucina storica, ma continuamente in grado di evolvere, migliorarsi e incontrare le nuove generazioni.
LE ESPERIENZE DI MAX MASCIA
Massimiliano (Max) Mascia fin da piccolo impara a muoversi tra i fornelli insieme agli zii, senza sapere ancora quanto quell’atmosfera, con i suoi profumi, ritmi e gestualità, avrebbe poi influenzato tutta la sua vita. Frequenta la scuola alberghiera di Castel San Pietro Terme, alternando esperienze in cucina durante i weekend e le festività. Dal 2003 al 2009 completa la sua formazione all’estero, presso i più rinomati ristoranti di alta cucina, tra i quali il Ristorante Vissani, il Romano di Viareggio, l’Osteria Fiamma di New York, il Bastide Saint Antoine. E infine, a Parigi, il Plaza Athenée del pluristellato Alain Ducasse. Chef attento, tenace, poliedrico, Max è un visionario coraggioso, allo stesso tempo molto concreto. Con sincerità, velocità e creatività, ha saputo accompagnare con successo la cucina di uno dei ristoranti più conosciuti al mondo nel nuovo secolo.
L’INTERVISTA
Qual è la cucina che proponi al San Domenico?
Una cucina fatta di portate comprensibili, con pochi ingredienti e semplice. Realizzata con studio, nel rispetto e nella valorizzazione del territorio. Allo stesso tempo deve essere abbastanza leggera. Il nostro piatto simbolo, più rappresentativo, è certamente l’uovo in raviolo. Si tratta di una pasta fresca, ripieno di ricotta e spinaci, tuorlo, tartufo e parmigiano.
E la pasticceria?
Mi piace molto la pasticceria: nonostante le ricette siano da seguire in modo molto rigoroso, c’è tanto spazio per la fantasia. Al San Domenico è affidata a due chef pasticceri, Giovanni Mattina e Giorgia Broglia. Sono quasi sempre affiancati da qualche ragazzo della scuola o che frequenta dei corsi. Si occupano ovviamente anche della parte panetteria e quindi, per noi, è un reparto molto importante!
Come sono i dolci che proponete?
I dolci nel menu rispecchiano la mia idea di cucina: devono valorizzare territorio e stagionalità. Ovviamente la materia prima utilizzata ha un ruolo chiave. Cerchiamo di variare e innovare la proposta ma, come in cucina, lasciamo sempre i grandi classici del San Domenico.
Che tendenze avete notato in pasticceria negli ultimi tempi?
Negli ultimi anni la tendenza è quella di scegliere dolci “meno dolci”. Dunque, non solo cioccolato, ma molta più frutta, sempre più frequentemente accostata a una parte vegetale. Io personalmente amo i dolci classici: una buona zuppa inglese, un affogato al caffè, o una crêpe Suzette fatta bene, in sala, alla lampada. Quest’ultima da qualche anno è tornata nella nostra carta e riscuote molto successo!
Quali sono state le tappe più importanti della tua formazione?
Sono cresciuto al San Domenico: per me è un luogo che sa di casa. Qui, fin da adolescente, le mie giornate erano accompagnate dal profumo del pane fresco, pronto per essere sfornato, e sempre qui ho assaporato i grandi piatti dello zio Valentino Marcattilii, che aiutavo quotidianamente in cucina. Innamorato di questo lavoro, ho iniziato a viaggiare e sono rimasto all’estero per sette anni. Volendo tirare le somme, posso dire che negli Stati Uniti ho appreso l’importanza dell’organizzazione e della gestione dei grandi numeri. In Italia ho imparato la cucina del territorio, la stagionalità e il valore della materia prima, e in Francia direi senz’altro la tecnica. L’esperienza da Alain Ducasse a Parigi è stata però per me “la ciliegina sulla torta”.
Dicono che la cantina del San Domenico sia davvero speciale: perché?
Interrata, di epoca medioevale, in pietre originali e con due pozzi, una struttura unica che si snoda pian piano. Un ambiente fantastico per accogliere ovviamente dei vini importanti. È qualcosa che i clienti non si aspettano e la mostriamo volentieri, perché rappresenta un valore aggiunto della storia del nostro ristorante.