Il sodalizio vincente del Mandarin Seta

Quindici anni insieme e nessuno screzio tra il pastry chef Nicola di Lena e lo chef Antonio Guida del Mandarin Seta di Milano. Anzi, il desiderio di continuare a condividere, non soltanto il lavoro
Il sodalizio vincente del Mandarin Seta

Nicola Di Lena è un professionista di grandissimo livello. E sarà forse il suo garbo nel porsi ad aver convinto un altro mostro sacro della ristorazione come Antonio Guida, chef bistellato del Mandarin Seta di Milano, a non lasciarsi sfuggire questa giovane promessa della pasticceria nel lontano 2006. Da quell’anno Di Lena e Guida non si sono più lasciati e le loro strade sembrano indissolubilmente legate. Il loro sodalizio è stato consolidato dalla nomina di Nicola come Migliore Pastry Chef d’Italia 2020 dal Gambero Rosso.

Nicola di Lena nasce nel 1981 in Svizzera, ma la sua famiglia si trasferisce subito in Puglia, patria del papà. Da ragazzo si interessa subito alla pasticceria. Complice lo zio, che in Sicilia gestisce una pasticceria. Nicola approfitta di ogni vacanza scolastica per raggiungere lo zio e carpire i suoi segreti. Frequenta l’alberghiero a Matera e poi inizia il suo percorso formativo in Puglia, in Veneto, a Cortina. Fino a che viene scelto da Guida come secondo pasticcere a Il Pellicano. Lì ha la fortuna di affiancare Ivan Le Pape, primo pasticcere di origine francese, per poi diventare capo partita dei dolci. Una digressione a Parigi all’Epicure con Laurent Jeannin, tre stelle Michelin, e la vita cambia per sempre. Nicola l’anno dopo, nel 2007, assente Le Pape, viene richiamato da Guida e diventa chef pasticcere a Il Pellicano. Da subito emerge il suo entusiasmo per il lavoro, il desiderio continuo di formarsi e la sua vena creativa.

Mandorla con salsa alla fragola e litchi, amarena e gelato al pepe

L’INTERVISTA

Come si costruisce un rapporto così duraturo con uno chef?
Sicuramente il legante principale è il rispetto. E poi la complicità di capire esattamente cosa si aspetta lo chef dalla carta dei dolci. Perché il dessert, in un menu degustazione, deve essere importante ma molto equilibrato. Questo perché è la fine di un percorso intenso, che non deve essere sovrastato, ma esaltato dal finale. Ricordo come Antonio all’inizio mi chiedesse di mettere meno zucchero nei miei dessert: col tempo ho capito il senso di questa richiesta. Aveva ragione lui.

Quanto tempo ci vuole per creare una carta dessert abbinata a un menu?
Possono volerci anche 10-15 prove. Si inizia con una serie di ingredienti, ma poi si spazia, si contamina, si ritorna all’idea principale e si fanno nuove digressioni. Inizialmente si pensa di ideare un predessert. Poi qualcosa sfugge di mano e il pre-dessert diventa un dessert. E così si ricomincia, da capo, con l’idea di creare un pre-dessert.

Come è strutturata la carta dei dolci del ristorante gastronomico Seta?
Prima della pandemia, in carta c’erano cinque proposte, oltre a pre-dessert e alla piccola pasticceria. Ora l’offerta è limitata a due menu degustazione. Il primo comprende otto portate e si conclude con un dolce storico, che non riusciamo a togliere dal menu: il Parfait alla liquirizia con cristalli di foglie di tabacco Kentucky, pere alle spezie e crema al caffè. Il secondo invece prevede un dessert ideato lo scorso autunno. Si tratta della Sfoglia caramellata con nocciola, salsa alla zucca, anice stellato e sorbetto di melograno.

Mela fondente con salsa di melagrana e litchi, gelato al pan brioche e cognac

Come è strutturata la sua brigata?
Ho un team meraviglioso, siamo in sette. Il mio secondo, Marco Pinna, è una bravissima persona e un ottimo professionista. Io non faccio altro che ringraziare i miei ragazzi, è merito loro se abbiamo raggiunto tutti questi risultati. Il nostro è un unico laboratorio di 60 mq ,e lì prepariamo tutto ciò che serve per il ristorante, ma anche per il bar, il Bistrot, per l’hotel. I ragazzi si suddividono in due squadre: una per il ristorante Seta, gli altri per il resto.

Come è strutturato il buffet colazioni?
La prima colazione al Mandarin è davvero regale. Prima della chiusura per il Covid, il nostro buffet era composto da sette lievitati diversi tra cui croissant, pain au chocolat, girelle, veneziane. Oltre a una serie di torte come Linzer, plumcake al cioccolato o al limone, cheesecake. Da bravo meridionale sono molto legato ai dolci delle ricorrenze, quindi mai senza panettone, colombe o zeppole di San Giuseppe. C’è poi una carta che propone waffles, pancakes con sciroppo d’acero e frutti di bosco, french toast servito con classico gelato alla vaniglia. Non manca mai la brioche con la granita di mandorla, in omaggio alle origini siciliane di mia mamma. Per il Mandarin Bar & Bistrot, ci sono poi le monoporzioni classiche come Saint Honoré, zuppa inglese e tiramisù, che piacciono da impazzire alla clientela straniera.

Quali sono le cifre stilistiche della sua produzione?
Proporre e preparare dessert classici e moderni insieme. Mi spiego. Il tiramisù, per esempio. Il mio è un buon tiramisù presentato in modo non convenzionale. Compongo un cilindro che viene spruzzato con una soluzione di cioccolato e burro di cacao, sopra pongo una piccola quenelle glassata ripiena di una crema inglese al caffè. In bocca tutti i gusti si ricompongono, ma nel piatto ho qualcosa di nuovo, inaspettato. Ancora, nel Parfait alla liquirizia ho cercato di riproporre un’emozione legata a quando ero bambino. In Salento, negli anni ’50 e ’60, si produceva tabacco. Io prendo spunto dai miei ricordi per creare un dolce che li racconti. Ho creato foglie caramellate e cristallizzate, ripiene di caffè alla liquirizia.

Nei suoi dessert, proprio perché sono accompagnamento a una carta da ristorante, ha sperimentato l’uso di verdure, erbe, spezie. Come crea gli abbinamenti e come immagina che gli ingredienti si sposino bene?
In un grande albergo sei sempre a stretto contatto con uno chef, nel mio caso bravissimo, e, quando lo vedi lavorare scatta una collaborazione spontanea, una contaminazione straordinaria. Spesso è lo stesso Antonio che mi stuzzica e mi suggerisce di utilizzare il pomodoro abbinato alla fragola. È un percorso che va oltre la pasticceria. Si provano spezie come coriandolo, cardamomo, cumino. Si fanno test, sperimentazioni, e si naviga in un mondo tutto nuovo. È una crescita professionale per tutti. Credo che questi accostamenti, con i dovuti equilibri, si possano portare anche in un semplice laboratorio.

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