Si arriva alle tre sale attraverso la Bottega, quella vecchia drogheria di Amerigo che propone i prodotti della tradizione dei colli bolognesi. Subito si respira aria di accoglienza e genuinità. La trattoria Amerigo 1934 offre cibo ma anche pernottamento, così come voluto dal nonno nel primo dopoguerra. Di strada il locale ne ha fatta molta, tanto da conservare fino ai giorni nostri la Stella Michelin conquistata nel 1998.
Mantenendo però lo spirito e lo stile della trattoria di campagna, punto di partenza ed essenza di lontane radici culturali e gastronomiche, sempre rispettate e onorate con cura. È questo il regno dello chef Alberto Bettini (nella foto sopra), che propone una cucina semplice, nel rispetto pieno delle materie prime, dei tempi e delle stagioni, fatta di ciò che offre il territorio circostante.
L’INTERVISTA
Ci può parlare della Trattoria?
È parte della storia, fondata da mio nonno nel 1934: lui in sala, mia nonna in cucina. L’hanno gestita in modo molto tranquillo, come una tipica osteria di paese, con quella poca offerta che si poteva proporre negli anni Trenta in un paese di campagna. Con il boom del dopoguerra molte “osterie” ottennero poi la denominazione di trattorie, diventando dei ristoranti rurali per le gite familiari domenicali. Nel 1953 la ristorazione divenne più strutturata: si producevano vino e salumi, proposti insieme a tutto ciò che poteva offrire un’osteria con bottega. Alla morte del nonno hanno poi continuato l’attività i miei genitori, fino al 1987. Nel 1988 con la mia fidanzata e sua sorella abbiamo iniziato a gestire la trattoria, con mia mamma e mia zia addette alla pasta sfoglia. Ho iniziato con un menu molto semplice e una carta dei vini dei colli bolognesi, portando l’idea del “bring your wine” dall’estero. Fui il primo in Italia a permettere ai clienti di portare il vino da casa. Grazie poi alle collaborazioni con Slowfood e Gambero Rosso, nel giro di qualche anno siamo riusciti a diventare quasi completamente autarchici.
E la Stella Michelin?
Nel 1998 abbiamo ricevuto la Stella Michelin. La nostra è stata la prima trattoria a conquistarla, con un servizio informale, i piatti e i prodotti locali, senza il pass e il ritmo del tipico ristorante stellato. All’epoca fu uno shock per molti, poiché un locale come il nostro non badava troppo alle rifiniture, ma piuttosto alla sostanza. Oggi la nostra cucina è una sintesi della mia ricerca, di creatività e innovazione, frutto dei miei viaggi all’estero, della mia curiosità ed esperienza come cliente nei ristoranti più importanti del mondo. Creo piatti piuttosto originali, nei quali ci si può sempre ritrovare.
Ci parli del menu.
Il nostro menu è diviso in due proposte. La prima, classica, con piatti della tradizione non rivisitati, caratterizzati dalla massima attenzione alla qualità delle materie prime. E poi abbiamo i piatti realizzati con materie prime locali, che seguono la stagione, influenzati dalla ricerca del nuovo. Per esempio, da noi non si è mai coltivato zafferano, ma ora lo usiamo perché abbiamo un produttore locale. Nel periodo della lavanda abbiamo creato il nostro “risotto zafferano e lavanda”, proposto per un mese durante le fioriture e che riprenderemo anche quest’anno.
E per quanto riguarda la carta dei dessert, come siete organizzati?
A occuparsi del nostro pane e dei nostri dolci è Claudia Forni, che ha frequentato numerosi corsi di pasticceria. La linea viene decisa con me e Giacomo Orlandi, il cuoco responsabile della cucina. Una delle nostre ultime carte propone zuppa inglese, spuma di ricotta con la saba, fiordilatte bolognese con spuma di amaretto, cubo soffice di cioccolato fondente con caffè, tre mele in tre consistenze con gelato di panspzil billi, e poi biscotteria, gelati e sorbetti.
Ha notato dei cambiamenti nei consumi dei dolci?
Non ho notato grandi cambiamenti nelle tendenze negli ultimi anni per quanto riguarda i gusti. In generale possiamo dire che la clientela straniera tende a scegliere preferibilmente i dessert della tradizione. La clientela italiana invece si orienta spesso verso proposte più leggere, magari a base di frutta. Da una parte, quindi, il comfort dessert, quello che non molli, consistente e legato alla nostra storia, e dall’altro dolci meno impegnativi. Il livello “intermedio” tende a sparire. Nella nostra carta abbiamo tre o quattro proposte legate alla tradizione; i dessert legati alla stagionalità non fanno parte della tradizione locale, ma sono frutto di una nostra storia e connotazione. Cambiano a rotazione, in base alla disponibilità della materia prima.
E per quanto riguarda le quantità consumate di dolci?
Non abbiamo notato un calo di consumi. La nostra clientela è abituata a considerare il dessert come un completamento del menu degustazione, in cui lo proponiamo sia in alternativa all’antipasto, sia come scelta a fine pasto. I menu con dessert sono decisamente quelli che vanno per la maggiore.
Fiordilatte bolognese con spuma di amaretto