Vittorio Vialetto è nato il 3 dicembre 1934 a Nove. Oggi è un uomo di 85 anni, e abita in un appartamento di Rosà, sopra il suo negozio di pasticceria. Una passione derivata dal padre. Bernardino Vialetto faceva il pasticcere ai mercati, alle fiere e alle sagre nei piccoli paesi della zona bassanese e nei dintorni. Proprio alle sagre il Maestro Vialetto ha avuto i primi approcci con la pasticceria “povera”, come la definisce lui. Il ragazzo si impegnava molto: studiava, lavorava con il forno a legna che avevano a casa e la domenica aiutava sempre lo zio materno nella sua locanda. Il ricordo dello zio sopravvive nella sua memoria in poche parole: “Ah ragazzo, tu lavori tanto, vedrai che i tuoi sacrifici saranno appagati un giorno!”. Ed è stato così.
Il padre e lo zio, visto il talento del loro giovanotto, si accordarono e decisero di mandarlo a Milano, a soli 17 anni.
“Era il 1951, mi scortarono fino alla stazione. Ero spaventato all’idea di lasciare la mia famiglia per andare in un posto nuovo. Andare a Milano in quegli anni era come andare oggi in America! Però ero anche consapevole dell’opportunità che mi si presentava: potevo viaggiare e arricchire il mio bagaglio, e potevo anche essere d’aiuto economicamente alla mia famiglia. Dopo 12 ore di viaggio arrivai alla stazione di Milano Centrale. La prima sensazione fu di meraviglia. Era notte, in tasca avevo un bigliettino con l’indirizzo dell’uomo che mi avrebbe ospitato mentre lavoravo alla Motta, ma non potevo certo presentarmi nel cuore della notte, così mi diressi in un parco e mi sedetti su una panchina. Quella notte dormii sulla panchina, usando i vestiti che avevo come cambio alla stregua di un cuscino. Il freddo mi svegliò la mattina presto e una luce attirò la mia attenzione. Era un panificio, mi avvicinai e spiai dalla finestra. L’uomo mi fece entrare e parlammo. Il fornaio mi invitò a lavorare nella sua bottega nei giorni di festa e ne fui entusiasta. A Milano imparai molte cose, come la lavorazione dei panettoni, che nel futuro si rivelò uno dei miei punti forti. L’ambiente di lavoro era una lotta quotidiana: gli altri pasticceri non mi permettevano di annotare le dosi delle varie ricette: non per cattiveria, ma ognuno era geloso del proprio tesoro. Ma io ero sveglio, mi mettevo a lavorare di spalle e ascoltavo i suoni, ad esempio contavo i battiti sui recipienti per capire quante uova venivano usate e poi, quando avevo un attimo libero, annotavo tutto su un pezzo di carta che tenevo sempre in tasca. La morte di mio padre mi riportò a casa e nel 1954 iniziai a lavorare a Bassano del Grappa in piazza dei Signori alla Premiata Offeleria. Dopo sei mesi ricevetti un invito dalla Svizzera, che su consiglio della Motta mi offriva la possibilità di una sostituzione per 4 mesi. Accettai. Alla dogana mi fermarono due giorni per farmi diverse visite al Lazzaretto. Per entrare in un Paese nuovo bisognava mostrare un contratto di lavoro e un certificato che garantiva l’alloggio. E poi ti lasciavano entrare e lavorare solo se eri sano.
Ero felicissimo e frastornato, partire per la Svizzera era come andare sulla luna! I 4 mesi diventarono 52 anni. La prima esperienza fu in Canton Ticino, dove terminai una scuola di apprendistato e una di maestria. Poi mi trasferii a Zurigo, e affinai le mie conoscenze sulla lavorazione del cioccolato alla Lindt&Sprungli, secondo me una delle pasticcerie più belle al mondo. In quegli anni il razzismo in Svizzera era un sentimento molto forte, soprattutto nei confronti degli italiani. Il mio datore di lavoro un giorno mi disse che avrebbe rispedito gli italiani a casa a calci. Fu l’ultimo mio giorno di lavoro in quel locale, tolsi il grembiule e dissi che me ne sarei andato da solo. Dopo varie tappe mi fermai a Chiasso, dove nel 1963 aprii il mio primo negozio di pasticceria. Nel 1965 ne gestivo già tre. Il mio negozio è ancora lì. Poi aprii due fabbriche, una di gelati a Varese e una di amaretti a Chiasso, questa ancora oggi esporta su scala internazionale. Nel 1972 volai in Venezuela, per una conferenza sui panettoni Motta. Nel 1986 ero a Caracas e poi a New York, presso la Pasticceria Ferrara di Little Italy. In tutto questo tempo avevo trovato l’amore della mia vita, Antonina, e avevo costruito la mia piccola famiglia. Sono tornato in Italia per realizzare il sogno di mio padre: aprire una pasticceria a Bassano del Grappa. Non mi sono mai pentito di essere partito, e se non lo avessi fatto non sarei quello che sono oggi”.