Il suo sguardo non tradisce la sua discendenza: è evidente la somiglianza con la madre Fausta Giorilli, così come quella con il padre Piergiorgio, che si riflette nella sua passione per l’arte bianca, seppur svelata in ritardo
Mio padre – racconta Michela Giorilli – cercando di proteggermi, non mi ha mai spinto a intraprendere il suo stesso mestiere, consapevole dei sacrifici e degli sforzi che richiede». Così Michela, secondogenita della coppia, fila dritta all’università, si laurea in Scienze della formazione e intraprende la carriera di educatrice trovando occupazione all’interno di un centro di formazione, a supporto di persone disabili. «Per anni – continua Michela – ho redatto progetti educativi e ho svolto con passione il mio lavoro, ma nel mio profondo ho sempre nutrito invidia nei confronti di chi realizzava un prodotto con le proprie mani. Ho sempre pensato che creare con proprie le mani trasmetta un grande senso di benessere. Spesso mi è capitato di accompagnare i miei genitori alle competizioni internazionali, come nel caso del Best of Taiwan nel 2016, e in quelle occasioni mi sembrava di toccare con mano l’immensa soddisfazione dei concorrenti». Nel 2017 Michela collabora all’evento Bread in the City a Sigep e, messe le mani in pasta, viene letteralmente notata da un collega del padre, il presidente del Richemont Club Svizzera, François Wolfisberg. Il maestro si complimenta con lei per il suo bel modo di muoversi in laboratorio, di maneggiare la materia e la incoraggia a rivelare il suo intimo sogno, quello di cambiare vita e intraprendere la professione di pasticcera-panificatrice. «L’ho detto ai miei genitori una domenica di primavera, dello scorso anno. Anzi, mia mamma già sapeva qualcosa, ma mio papà era completamene all’oscuro. La notizia è stata accolta con molto scetticismo e preoccupazione, dettati dalla convinzione che un mestiere del genere non si può improvvisare e si debba intraprendere in giovanissima età». Certo i tempi sono cambiati, oggi è molto più semplice programmare una full immersion formativa ad alti livelli, così come acquisire molte competenze in tempi concentrati: è solo questione volontà. In più, oggi, ci si può permettere di scegliere tra un ampio ventaglio di offerte, inseguendo le proprie aspirazioni e passioni.
Così Michela inizia l’anno scorso il suo lungo viaggio formativo, tuttora in corso, frequentando un corso di cioccolateria presso la Pica Pastry School per poi passare corsi di pasticceria di Paideia, una cooperativa per la formazione femminile. In seguito s’iscrive ai corsi di Yann Duytsche ed Emmanuele Forcone. Parte poi per Ginevra alla volta della pasticceria Wolfisberg, dove trova un ambiente altamente organizzato e professionale. Rientrata in Italia decide per il Corso di Alta Formazione di Icook, la scuola di Chieri di Luca Montersino e Francesca Maggio. Qui ha l’occasione di incontrare maestri di grande levatura, tra questi Melissa Coppel, Jean Martin, Luca Montersino, Yann Brys, Stefano Laghi ecc. Attualmente sta frequentando il tirocinio presso la Pasticceria di Roberto Cantolacqua, dove sta facendo esperienza delle lunghe giornate lavorative, ma anche dell’autentica passione che conferma la sua scelta.
Chiediamo a Michela di raccontarci di più. Cosa ti ha spinto a lasciare una professione già certa?
Il desiderio di essere felice, di fare qualcosa che mi potesse appagare. Da brava figlia minore sono sempre stata un po’ controcorrente, così, forse quando nessuno se lo aspettava, ho lasciato un contratto di lavoro a tempo indeterminato per intraprendere un mestiere molto difficile e impegnativo. Ma la mia determinazione e la profonda passione mi supporteranno in questa sfida. Inoltre sarebbe stato un peccato non raccogliere l’immenso patrimonio di cultura professionale e di relazioni all’interno del settore, sviluppati in 50 anni dalla splendida squadra dei miei genitori.
Che stile vorresti sposare?
Di base vorrei perpetrare la tradizione e la storia scritta da mio padre, rinnovandola sulla scia dello stile francese e del mio tocco personale, indubbiamente femminile. In particolare mi piacerebbe specializzarmi in vienneseria. Gli impasti lievitati sono la mia più grande passione: trovo che l’impasto quando gira in macchina sia catartico.
Perché ti appassiona la vienneseria francese?
È meno sviluppata rispetto a quella italiana, ma più stratificata e definita. Inoltre credo che la marcia in più sia la decorazione e la cura che vengono dedicate al prodotto una volta uscito dal forno.
I professionisti italiani del tuo cuore?
Luca Montersino, perché è una persona di cuore, riesce bene in tutto quello che fa e sa trasmettere la professione in modo divertente ed efficace. Stefano Laghi è il maestro del cuore perché è il mio punto di riferimento per quanto riguarda i fondamenti tecnici del mestiere.
I maestri stranieri che ti hanno colpito di più, finora?
Jean Martin per la pulizia e la precisione, mai viste prima. Per i suoi sfogliati colorati e non, ma in generale per l’accuratezza con cui presenta i prodotti, come fossero in una gioielleria. Il MOF Yann Brys perché è un mostro di bravura, una macchina da guerra, capace di produrre nel massimo rispetto della pulizia, della precisione e della tempistica, prodotti complicatissimi, con un atteggiamento di grande serenità e umiltà.
Obiettivo finale? È gia plausibile fare qualche previsione?
Mi piacerebbe aprire una mia attività con un format originale, ma ancora di più fare formazione nelle scuole: insegnare ad altri professionisti o a persone che si accostano per la prima volta alla pasticceria, mettendo a frutto le mie attitudini didattiche, sviluppate nel lavoro precedente.
Come appaiono agli occhi di una giovane la pasticceria e la panificazione italiane?
Gli italiani non hanno nulla da invidiare ai francesi in termini di tecnica e creatività. Mi pare però che il mondo dei panificatori sia più chiuso, riseptto alla pasticceria, dal punto di vista dello scambio con altri paesi.
Cosa pensi della formazione in Italia?
Sono stati fatti passi da gigante, ma è importante non improvvisarsi maestri. Mio padre ha lavorato per accrescere la cultura dei singoli professionisti e dell’intero settore, perché anche il panificatore potesse indossare la giacca del maestro.