Celebrato nel mondo come il dolce italiano per eccellenza è il dessert dalle mille anime, di cui in italia si contendono la paternità, ma che nel mondo ci vede uniti come patria che gli ha dato i natali. Chef e pasticceri lo amano e lo temono, per via della sua enorme diffusione e familiarità
La frase che fa tremare i polsi a un pastry chef? «Buono questo Tiramisù, ma è meglio quello di mia mamma!». Ebbene sì, perché solitamente, il rapporto di ogni italiano con il Tiramisù è analogo al rapporto tra le donne e la mamma: tutte sono deliziose, ma di speciale ce n’è solo una. A base di savoiardi, uova, zucchero, caffé, mascarpone e cacao in polvere, il Tiramisù è il dessert del Tricolore, il più celebrato e reinterpretato al mondo. Tutti almeno una volta – chef e non – lo hanno preparato, magari aggiungendo un tocco personale, talvolta sconvolgendone la ricetta originale fino a destrutturarlo. Sottoforma di torta, monoporzione, pasticcino, servito in coppa, al bicchiere, al piatto, in teglia, in pirofila, in vaso, fatto con o senza panna, gelatina, o liquore, con cioccolato a scaglie o cacao in polvere, con ananas o altra frutta, il Tiramisù è un vero e proprio comfort food. Eletto “dolce dell’Anno” da Eataly e protagonista di svariate pubblicazioni – l’ultima firmata dai food writer Clara e Gigi Padovani per la Giunti (2016) – ha conquistato il cuore, o per meglio dire la gola, dei buongustai da polo a polo, impazzando in particolare sulla tavole del Celeste Impero. Sono i cinesi, infatti, i maggiori estimatori al mondo del dolce al cucchiaio con oltre 14 milioni di citazioni sui siti in lingua. Seguono con largo distacco i giapponesi con solo 7,8 milioni di citazioni e i tedeschi con 3,4 milioni. La patria dei dessert annovera circa 3,1 milioni di citazioni in francese, ma il fanalino di coda è la Spagna con solo 2,2 milioni.
In Italia il Tiramisù resta il dolce per eccellenza, ma cambiano le abitudini e al “fatto in casa” si preferisce il “portamelo a casa”. Sono 9.400 i chilogrammi totali di Tiramisù ordinati nel 2017 a domicilio secondo Just Eat. Roma è la città più golosa con 3.900 kg, ma anche Milano non è certo a dieta visti i suoi 1.700 kg. Il classico non tramonta mai, seguito dalla versione ultra golosa alla nutella. Ma stanno prendendo piede anche interpretazioni più stravaganti con il pistacchio e il the verde.
Una sfida per la pace del Tiramisù
Durante il Tiramisù Day, organizzato a fine marzo presso FiCO-Eataly World, si è svolta l’ennesima sfida tra le città di Treviso e Tolmezzo, per valorizzare il dolce italiano più famoso al mondo. Le squadre di pasticceri veneti e friulani – Manuel Gobbo e Massimo Granzotto, capitanati dal titolare del ristorante Le Beccherie di Treviso Paolo Lai, e per Tolmezzo Lidia Larice del ristorante Roma-Manzoni, Roberto Frezza della pasticceria Manin e Carla Della Pietra di Pan di Casa – si sono esibite in una inedita gara all’ultima cucchiaiata. Una “nazionale del gusto” che si è detta pronta a fare squadra e seppellire il cucchiaino della discordia per vincere insieme nel mondo con il celebre dolce italiano. La giuria di esperti, presieduta da Gino Fabbri, presidente dell’AMPI, Accademia Maestri Pasticceri Italiani, per questa edizione ha decretato come più armonico il Tiramisù di Treviso.
È nato prima l’uovo o il Tiramisù?
La nascita del Tiramisù è avvolta dal mistero. Rintracciare l’origine del dessert più goloso al mondo è difficile, tanto che non sono mancanti scontri all’ultimo cucchiaio fra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, entrambe convinte di detenerne i natali. C’è chi ne attribuisce l’invenzione alla cuoca Speranza Garatti, che a metà anni Cinquanta lo avrebbe creato con il nome di Coppa Imperiale al Camin di Treviso, ma in molti, di fronte a questa ricostruzione, storcono il naso. La prima ricetta è datata 1950 a firma di Mario Cosolo che proponeva il suo Tiramisù (“Tìrime su” in triestino) Al Vetturino di Pieris (Go). Tra le “mamme” del Tiramisù c’è anche Norma Pielli che, alla fine degli anni ‘50, ne preparava una versione con burro montato – presto sostituito con il mascarpone – nella cucina del ristorante dell’Hotel Roma di Tolmezzo (Ud). La ricetta di Norma Pielli sembra dunque risalire a una datazione antecedente rispetto al “Tiramesù” dello storico ristorante Le Beccherie, in centro a Treviso, legato ai nomi di Roberto Lolì Linguanotto e Alba Campeol che lo avrebbero codificato nel 1970.
Perché usare i savoiardi Bonomi?
Forno Bonomi è il più grande produttore di Savoiardi al mondo, presente in circa 85 Stati tra cui gli Usa, i Paesi emergenti del centro Asia e del Medio Oriente. I suoi biscotti, estremamente consistenti, sono perfetti per l’inzuppo grazie a un mix di fattori unici:
• Ambiente L’azienda Bonomi si trova a Roverè Veronese, a 1000 metri di quota, in una zona incontaminata tra le colline vicine alla città di Verona e le piccole Dolomiti. Qui si respira un’aria pulita e l’acqua sgorga limpida dalle fonti alpine.
• Tecnologia La tecnica impiegata in fase di preparazione è unica al mondo perché costruita internamente dai Fratelli Bonomi per sfornare i migliori Savoiardi.
• Certificazione I Savoiardi Bonomi sono gli unici approvati dalla Federazione Italiana Cuochi con il marchio “Approvato dalla F.I.C.”, concesso alle aziende che sottopongono i loro prodotti all’analisi e al controllo da parte di un’apposita commissione. Si tratta di un riconoscimento importante che valorizza sia la professionalità del cuoco sia quella del pasticcere, che operano con qualità in Italia e all’estero.
I consigli per un Tiramisù perfetto
1. Il Savoiardo deve essere di altissima qualità per assorbire in modo omogeneo e stabile il liquido dell’inzuppatura.
2. Per rendere soffice la crema c’è chi monta gli albumi per aggiungerli al composto di tuorli e zucchero, unito al mascarpone; e chi preferisce aggiungere la panna semimontata.
3. Mai zuccherare il caffè espresso, al massimo allungarlo con un po’ d’acqua.
4. Il cacao deve sempre essere amaro, altrimenti si stempera il contrasto dolce-amaro tipico di questa specialità.
5. Lasciate risposare il tiramisù almeno 6 ore in frigorifero per permettere a tutti gli ingredienti di “fondersi”.