Sul mercato esistono moltissime tipologie di oli per friggere. Per scegliere al meglio occorre conoscerne il comportamento alle alte temperature
La stagione è propizia. Complice il Carnevale, febbraio è il momento dell’anno perfetto per deliziare i palati con i dolci fritti. Dalle zeppole alle frittelle, dalle castagnole alle chiacchiere, per arrivare a prodotti che invece si gustano tutto l’anno, come krapfen, bombe, ciambelle e churros, deliziosi riccioli di pasta fritti e zuccherati che abbiamo importato con successo dalla tradizione iberica e latino-americana. Insomma, le occasioni per friggere, anche nei laboratori di pasticceria, si moltiplicano e bisogna essere preparati.
Servono le attrezzature giuste – una buona friggitrice e una cappa per l’aspirazione dei fumi – l’olio o grasso migliore per le nostre esigenze produttive e – soprattutto – un minimo di competenza su questo processo di cottura, estremamente delicato, in quanto, se condotto male, non solo può dare origine a un prodotto finito scadente in termini di aspetto, gusto e qualità organolettiche, ma – peggio – può rendere i nostri dolci pesanti, difficili da digerire e addirittura dannosi per la salute di chi li consuma. Conoscere le caratteristiche degli oli è quindi fondamentale.
La prima distinzione è tra oli da seme (per esempio girasole, arachidi, palma…) e oli specifici per frittura, che sono prodotti formulati per risolvere le principali problematiche cui si va incontro quando si frigge (irrancidimento, formazione di schiuma, resistenza alle alte temperature e a riscaldamenti prolungati). Altrettanto importante è essere a conoscenza delle buone pratiche da implementare in laboratorio e delle regole legate allo smaltimento degli oli esausti, per non incorrere in sanzioni.
Come scegliere l’olio giusto
Secondo Luca Celli, marketing and sales director di Senna: «A seconda del risultato che si desidera ottenere, è preferibile utilizzare un determinato olio piuttosto che un altro. Per esempio, ci sono prodotti che conferiscono all’alimento da friggere un colore più bruno, come l’olio di palma bifrazionato; altri invece, come l’olio di girasole, danno un aspetto più dorato. Ancora, ci sono oli dal sapore neutro, che non modificano il gusto del prodotto finito, come l’olio di girasole altoleico, e oli che caratterizzano i fritti in maniera importante, come l’arachide o l’olio extravergine d’oliva. Naturalmente oli e grassi sono molto diversi anche per caratteristiche tecniche, quali il punto di fumo, la stabilità e l’odore. Secondo il nostro punto di vista, i migliori risultati in frittura si ottengono impiegando miscele di oli e grassi accuratamente formulate».
Continua Daniela Natale, responsabile ricerca di prodotto di Olitalia: «Le formulazioni specifiche nascono per eliminare i problemi tipici degli oli in frittura, come la formazione di schiuma o l’irrancidimento. Si tratta di oli resistenti all’ossidazione, che possono essere riutilizzati più volte, garantendo un notevole risparmio sia in termini di costo della materia prima, sia di smaltimento del prodotto esausto».
I nemici dell’olio
I nemici dell’olio, oltre al calore, sono l’acqua, l’aria e la luce. Pensando al funzionamento di una friggitrice, abbiamo una fonte di calore che riscalda l’olio dal basso, mentre la superficie è in contatto con luce e aria e gli alimenti da friggere apportano umidità. è quindi evidente che l’olio, in cottura, subisca una progressiva degradazione, che inizia con fenomeni ossidativi, derivanti dal contatto con l’aria, che causano l’irrancidimento. L’acqua contenuta negli alimenti che friggiamo, invece, da origine a processi idrolitici che causano la formazione di acidi grassi liberi (sostanze che bruciano e producono fumo), digliceridi (responsabili della formazione di schiuma) e composti volatili. L’uso prolungato dell’olio, causa inoltre la formazione di polimeri ed elementi solidi che rendono il prodotto più denso e viscoso.
Il punto di fumo
Il punto di fumo è la temperatura alla quale un olio, sottoposto a riscaldamento, inizia a produrre fumo in modo continuo. E’ un indicatore (ma non il solo) della resistenza dell’olio alle alte temperature: un punto di fumo elevato ci dice che l’ossidazione del glicerolo, che causa la produzione di sostanze nocive come l’acroleina (dannosa per fegato e mucose gastriche), avverrà a temperature più elevate. In generale, quindi, oli con un punto di fumo elevato saranno più adatti alla frittura (che generalmente avviene intorno ai 180°C) rispetto ad altri con un punto di fumo basso. E’ però importante sapere che la tendenza a degradarsi di un olio può variare anche in relazione ad altri parametri, non ultima la durata dell’esposizione alle alte temperature. Per questo è fondamentale, non solo non utilizzare gli oli per periodi di tempo troppo lunghi, ma anche sostituire completamente l’olio all’interno della friggitrice, senza mai rabboccarlo.
Quando l’olio esausto? Ecco cosa dice la legge
L’aumento di viscosità, la produzione di schiuma, cambiamenti nel colore e nell’odore, che tende a diventare rancido, sono tutti segnali che l’olio non è più idoneo ad essere utilizzato; tuttavia l’esame visivo, basato su parametri qualitativi, non è sufficiente per stabilire con certezza se un olio sia o meno da sostituire, né a metterci al riparo da eventuali sanzioni. La norma di riferimento in materia è la Circolare 1/1991 del Ministero della Sanità che stabilisce che l’olio deve essere sostituito quando i composti polari (la cui concentrazione è un indicatore del grado di deterioramento dell’olio) superano il 25%. Per misurare il tenore di composti polari dell’olio, direttamente nelle cucine e nei laboratori professionali, esistono in commercio (si trovano normalmente nei cash and carry) dei kit monouso molto semplici da utilizzare, che danno un’indicazione del contenuto in composti polari secondo una scala cromatica.
Lo smaltimento
L’olio esausto è un prodotto altamente inquinante che, a causa della sua densità, inferiore a quella dell’acqua, rende difficili le operazioni di depurazione. Conferire l’olio alle apposite strutture per lo smaltimento fa sì che questo possa essere riciclato per uso industriale, per esempio nella produzione di biodiesel, lubrificanti, tensioattivi e saponi.
Gli operatori professionali sono obbligati a smaltire gli oli secondo quanto previsto dalla normativa vigente (D. Lgs. 152/2006). Fortunatamente in tutta Italia esistono aziende specializzate nella raccolta degli oli alimentari esausti, queste realtà forniscono agli operatori contenitori omologati che vengono poi ritirati e conferiti ai centri di recupero autorizzati. L’organo preposto al controllo e monitoraggio della filiera di oli e grassi esausti è il Conoe (Consorzio obbligatorio nazionale di raccolta e trattamento oli vegetali e grassi animali).