Da Facebook a Instagram, da Fuudly a Gnammo, come si rapporta il mondo del food con i social. Lo abbiamo chiesto ai professionisti del settore
Cosa hanno in comune il food e i social? All’apparenza nulla, ma in realtà parlano la stessa lingua. Quella della condivisione. A tavola come sui social la chiave di volta è “stare insieme” (anche se davanti a un buon piatto accompagnato da un bicchiere di vino adeguato, anche lo stare soli non è poi così male). Negli ultimi anni i social media hanno rivoluzionato il modo di guardare, considerare, ma soprattutto comunicare il cibo. Snap Chat, Instagram, Facebook, Tumblr e ora anche le stories di WhatApp. Senza dimenticare i canali più settoriali come Fuudly, il social della buona cucina e degli amanti del cibo, Foodspotting, una vera e propria “social mappa” con le foto dei piatti e Gnammo, il principale portale italiano di social eating.
Siamo bombardati da immagini di food, dalla colazione, alla cena, allo spuntino di mezzanotte.
Oggi si è superato il concetto di foodporn e di foto amatoriali caricate su Tripadvisor e i social sono diventati un canale di comunicazione del food di primo piano in cui fare cultura del buon cibo, confrontarsi con professionisti dall’altra parte del mondo, conoscere in tempo reale le novità del settore, ma anche come strumento marketing personale. Che rapporto hanno con i social i professionisti del settore?
Ilva Beretta, fotografa
«Contrastato, ecco lo definirei così il mio rapporto con i social». Ilva Beretta è una fotografa di anima e passione. Una che guarda dentro la foto. E proprio questo suo essere, è alla base dell’amore e odio per la comunicazione social «che hanno il grande vantaggio di aver allargato la cultura della food photography portandola al grande pubblico, ma le hanno chiesto di piegarsi alle regole del “mi piace”. La fotografia è espressione, ma quando si guarda di più al numero dei follower, che all’anima dello scatto si perde il senso stesso della foto. Si entra in una cifra comunicativa appiattita in cui non c’è più esplorazione, ricerca, sviluppo personale e professionale. Una volta trovata la formula giusta si usa sempre la stessa inquadratura, la stessa luce, lo stesso sfondo, la stessa composizione dell’immagine. Uno stereotipo piacevole, un modello che sicuramente fa vedere, ma che non fa emergere lo sguardo del fotografo e la sua professionalità. Facciamo un esempio pratico: i fotografi che lavorano sullo street food, non propongono scatti “belli”, ma intense. Sono racconti prima ancora che foto, trasmettono la reale cultura che sta dietro a un piatto».
Uno sguardo che fa la differenza e che Ilva definisce come «la voce della foto, la sua emozione a cui io non riesco e non voglio venire meno nel mio lavoro, ma anche quando uso i social. Per questo non ho una strategy, non ho piani di marketin e neppure un calendario editoriale, pubblico quello che mi emoziona. Magari non sono tutti scatti perfetti, ma sicuramente parlano».
Monica Conti, Blogger, firma di Con le mani in pasta
«Da utente mi piace tantissimo questa possibilità di scoprire il mondo attraverso il mio telefono. Da professionista sento che certe regole non fanno per me». Per Monica Conti, anima di Con le mani in pasta, l’universo social è un mondo di luci e ombre «che ha allargato le vedute e le prospettive, che mi ha dato la possibilità di far conoscere il mio lavoro e la mia filosofia di vita e di cucina al di fuori del blog, ma in cui non si deve mai perdere di vista quello che siamo e cosa vogliamo dire. Per lo meno io li concepisco così: come un prolungamento del mio blog, più immediati, più “allargati”, più veloci, ma con alla base sempre il mio modo di essere e di concepire la cucina».
«I social hanno cambiato l’approccio del lettore – continua Monica – Prima ogni blog aveva uno zoccolo duro di lettori che seguiva le storie e le ricette e dialogava direttamente con la blogger dalla sua pagina. Era un pubblico più o meno esteso, ma costante. Direi affezionato. Oggi con Facebook e Instagram le regole sono cambiate e lo sono anche gli utenti. Ora parliamo con un pubblico più ampio e con una fascia di età più variabile. Il numero delle visite ai social è sempre più alto di quelle del blog, il dialogo è costante e in tempo reale. Condividi un’esperienza nel momento stesso in cui la stai vivendo e questo ti permette di essere più immediata rispetto al blog che, per sua natura, necessità di un pensiero e una cura diversa. Sono strumenti complementari con cui si deve lavorare contemporaneamente».
Davide Mandarino, chef del Simposio di Roma
«Prima il cliente ti conosceva perché veniva direttamente da te, assaporava la tua cucina, ascoltava la tua voce. Ora viene perché ti conosce virtualmente e vuole conoscerti vis a vis. E’ cambiata la natura del rapporto, ma è soprattutto cambiato il modo di rapportarsi, virtuale ma immediato». E’ una linea sottile quella che descrive Davide Mandarino, ma sostanziale.
«I social hanno il merito di aver letteralmente stanato gli chef dalle cucine aprendogli un ventaglio di possibilità di confronto, dialogo e crescita personale e professionale immenso. E’ cresciuta l’attenzione sul nostro lavoro da parte del grande pubblico, ma anche noi stessi abbiamo accresciuto l’interesse verso il lavoro dei colleghi e di conseguenza la cultura gastronomica del singolo chef. La grande svolta del social e permetterti di restare aggiornato sulle ultime tendenze di ingredienti, tecniche di cottura e tecnologie. Ti mette in dialogo con colleghi che lavorano dall’altra parte del mondo che altrimenti non avresti mai conosciuto. Ti apre un canale di comunicazione diretto con i clienti annientando le distanze fisiche. Per me questo è un potenziale grandissimo che coltivo nei miei profili. Come rovescio della medaglia c’è l’impoverimento dell’esperienza, perché per alcuni diventa solo un fattore di bella immagine e se prima il piatto parlava attraverso il sapore, il profumo, l’armonia delle consistenze e ovviamente la struttura, oggi sui social è l’estetica a farla da padrone. Ma questo è un discorso che non mi tocca».
Antonio Montalto, pastry chef
«La chiave più interessante per noi artigiani è capire la propria identità e trasmetterla nel modo più sincero, solo così possiamo far capire quello che facciamo realmente». Antonio Montalto mette nella gestione dei social la stessa spontaneità e il medesimo rigore che mette nel suo lavoro.
«Sono attivo sui social e li curo personalmente perché credo che questo sia l’unico modo per trasmettere veramente quello che si fa in questo lavoro. I social sono una finestra sulla vita quotidiana di una persona, sui suo impegni, la sue passioni. In questo caso sono una finestra sul mio modo di concepire il lavoro in laboratorio, ma non solo. L’interazione diretta con le persone è uno dei fattori che preferisco. Prima c’era solo il sito, ma più che altro vendeva un prodotto e non ti permetteva di dialogare realmente con i lettori per far capire realmente la persona che c’è dietro a un pastry chef».
Un dialogo che, per Antonio Montalto, alimenta la diffusione della cultura del cibo. «I social fanno da cassa di risonanza alla cultura del cibo. Ti permettono di entrare i contatto con i colleghi e ti mettono in comunicazione un pubblico vastissimo. Incontro sempre più persone interessate a quello che faccio. Persone sempre più preparate, colte e interessate. E’ un potenziale che prima, chiusi in cucina o in laboratorio non avevamo. L’importante, però, è essere fedeli a se stessi e cercare di capire quali sono i canali social che più ti appartengono per non creare confusione. Bisogna essere sinceri, come sempre».
di Roberta Suzzani