Oggi DelaCrem è una delle gelaterie artigianali più affermate della Catalogna, ma farsi spazio nel mercato locale non è stato facile
«La mia scommessa era conquistare i cuori catalani con un prodotto di qualità. Non voglio dire che ci siamo riusciti, ma che ci stiamo riuscendo».
Sette anni fa Massimo Pignata lasciava Torino per “cercare fortuna” a Barcellona. Con sé aveva un’idea e la voglia di trasformarla in un progetto. Al centro il gelato artigianale italiano fatto solo con frutta biologica di stagione, senza aromi, senza emulsionanti e senza coloranti, lavorato a -12°C costanti per evitare la cristallizzazione e creare un gelato cremoso e saporito. Massimo non avrebbe mai immaginato che lui e il suo DelaCrem sarebbero stati gli artefici di una piccola – ma significativa – rivoluzione nei gusti dei catalani.
Oggi la gelateria artigianale al numero 15 di Carrer d’Enric Granados, è una delle più affermate gelaterie artigianali di Barcellona, ma come è stato l’inizio?
«In una parola? Difficile. Per diversi motivi. Prima di tutto c’è che i catalani non amano il gelato, o meglio non rientra tra le loro abitudini alimentari. Di fatto, e in pratica, tutti i gelatai lavoravano per il mercato turistico. Così ho lanciato a me stesso una sfida: entrare nelle abitudini dei locali grazie a un prodotto di qualità. Da quel momento è partita la caccia, alla location prima di tutto. Un posto che non fosse turistico. Ho scandagliato tutta la città per trovare il mio posto ideale. Quando ho trovato questo locale in Carrer d’Enric Granados ho capito di aver fatto centro. Anche per il nome ho fatto tutto da solo, volevo un nome che trasmettesse il concetto di qualità e cremosità, quella che non vedevo nei gelati che assaggiavo nelle gelaterie che trovavo in città. Il logo, invece, è nato quasi per gioco, durante una cena con amici».
Come è vissuto il gelato artigianale italiano a Barcellona?
«Come una cosa che viene da fuori. Qui spopola l’espressione “de toda la vida”. I sentimenti sono contrastanti: c’è ammirazione per la qualità media più alta rispetto ai gelati indigeni, ma anche tanta diffidenza perché la fama di “trafficoni” che abbiamo all’estero, molte volte macchia il nostro lavoro».
Un cuore duro da conquistare quello dei catalani.
«Durissimo, eppure la maggior parte dei miei clienti sono persone del posto. Amano molto il pistacchio e i gusti classici come crema, cioccolato e frutta, in media ne proponiamo 21».
Come è cambiato il mercato del gelato?
«Dopo sette anni iniziamo a raccogliere risultati e consensi. Il mercato del gelato rimane un prodotto di stagione, ma sta lentamente entrando nelle abitudini dei barcellonesi, dei catalani e degli spagnoli. Niente a che vedere con la cultura e i consumi degli italiani, però lavorando con qualità e rispetto della materia pima ci siamo aperti una piccola nicchia nel consumo in città e fuori. Ma c’è un altro aspetto da considerare. Barcellona sta vivendo un’ondata di arrivi dall’Italia. Si sono moltiplicate gelaterie, ristoranti e pizzerie. In tanti puntano alla qualità, ma tra gli addetti del settore – commerciali e gelatieri – c’è la convinzione che l’offerta sia sovradimensionata rispetto a quello che può assorbire la città».
Il momento di fare cambiamenti, a cosa sta lavorando?
«Cerco un locale per aprire un punto di vendita in una zona turistica di Barcellona, però uno degli effetti della crescita economica è che è sempre più difficile trovare un locale a prezzi decenti. Farò come ho già fatto sette anni fa: batterò palmo a palmo la città».
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