Quello che distingue Terry Giacomello, chef del ristorante Inkiostro. E che caratterizza un’offerta salata e dolce d’avanguardia nella terra conservatrice di un ex Ducato. Complice una patronne Francesca Poli vocata fin dall’inizio al nuovo
Questa volta abbiamo giocato in casa e in pochi minuti siamo arrivati dalla redazione al ristorante Inkiostro di Parma. Ma è bastato l’impatto con la struttura esternamente avveniristica, gli interni metropolitani, uno sguardo al menu a farci sentire migliaia di chilometri lontani dalla città del Ducato. Da quasi due anni la patronne Francesca Poli, rampolla della nota famiglia di ristoratori reggiani, ha affidato le redini della cucina a Terry Giacomello. Lo chef friulano arriva carico di un’invidiabile esperienza raccolta in giro per il mondo, forma la sua squadra e, dopo qualche mese di rodaggio, dà una virata alla linea di cucina, già affermata e riconosciuta nell’olimpo, ma che a suo dire aveva bisogno di un tocco d’avanguardia e tecnologia in più. La patronne concorda, lo trova complice nel suo gioco d’azzardo iniziale e il sodalizio prende il largo.
Ricerca, tecnica, grandi ingredienti
Sono questi i pilastri di Giacomello, e le tappe più significative del suo curriculum parlano chiaro: mai fermarsi, ricercare e scoprire sempre. Lo segna in modo inequivocabile la sua permanenza di quattro anni nelle cucina di elBulli con Ferran Adrià. «Non ho più visto niente di simile, impiegavamo mesi per mettere a punto un piatto e questa cosa mi è rimasta. Il menu, certo, lo vario stagionalmente, ma un piatto lo inserisco solo quando è wow, cioè veramente innovativo, non cambio tanto per cambiare» spiega Giacomello.
E quindi prove su prove, ricerche e scambi continui con la sua squadra (Ferran Adrià docet), in particolare con il sous chef Ronald Bukri e il pastry chef Cristiano Pizzimenti, e forte delle sue esperienze presso ristoranti altisonanti, come Noma e Mugaritz, e del periodo a fianco di star del calibro di Alex Atala, Helena Rizzo e Michel Bras. Contamina, fonde, miscela l’ingrediente lontano con il vicino, trasforma
il tradizionale con la ricerca di una sintesi personale. «Uso gli asparagi di Bassano, le spezie indiane, i legumi e le verdure dell’azienda parmigiana Stuart, le erbe selvatiche che raccolgo da marzo a ottobre sulle nostre montagne, ma anche quelle che arrivano dal Madagascar; nel filetto di cervo che ho in carta si incontrano i tuberi che arrivano dal Perù e la linfa delle betulle che ho dietro casa. Il Prosciutto di Parma non manca ma acquista un’altra forma: servo come entrèe il suo grasso fuso da cospargere con una pipetta su cracker o pane» spiega Giacomello.
A breve potrà contare su un orto e una serra per un approvvigionamento veramente a km 0. Il professore Davide Cassi, docente di fisica della materia all’Università di Parma, lo sostiene nelle indagini fisiche e chimiche, e mette a disposizione dello chef distillatore, macchine per fermentare, estrattore, indispensabili in una cucina d’avanguardia. «A elBullì avevamo chimici alimentari sempre con noi» ricorda Terry.
Dessert tecnici che emozionano
Anche qui ricerca della materia prima eccellente e molta tecnica, per stimolare nel cliente un’emozione. Le proposte in carta sono composizioni, non semplici dessert al cucchiaio o torte. E continua «Il piatto che vi presento oggi è una “Finta corteccia di nocciola”. Avevo comprato una macchina per fare l’olio, ma la sto usando per fare la corteccia con muschio, polvere di aghi di pino dolce che simula il licheno attaccato all’albero, polvere del frutto della passione, ganache di caramello salato, polline, una noce raccolta nel giorno di San Giacomo e messa a macerare nello sciroppo per tre mesi, una foglia di cioccolato. E poi uno dei miei dessert di maggior successo: il “Falso toast”, ossia latte sbattuto che viene coppato in un quadrato, con attorno una meringa che viene bruciata e così sembra una fetta di pane da toast, farcito con una composta di ananas, della liquirizia fatta a righe che simulano quelle della grigliatura e fiori di anice per dare freschezza. È il piatto che crea l’illusione, sembra una cosa invece è un’altra, proprio come si faceva da Ferran Adrià». Ma Giacomello si affretta a chiarire: «È molto difficile che un cuoco faccia bene anche il pasticcere. Per questo ragione nel mio staff ho un pastry chef Cristiano Pizzimenti che si occupa anche del pane».
Il pastry chef Cristiano Pizzimenti
La carta si compone di sei dessert, preceduti da un pre-dessert e seguiti dalla piccola pasticceria. Ogni dolce deve stupire per la sua forma, incuriosire, intrigare e spingere a pensare. Non è un caso che la scelta sia caduta su Pizzimenti, guarda caso diplomato perito chimico e laureato in tecniche erboristiche a Bologna. Approda nello staff lo scorso anno dopo un’esperienza all’hotel Baglioni di Bologna e al San Domenico di Imola.
«Non è semplice seguire la linea dello chef perché la pasticceria è molto più tradizionale però lo scambio con lui è continuo e spesso le novità sono la sintesi di più apporti. Per esempio il “Finto toast”: Terry ha dato l’idea del latte montato, io quelle del contorno di meringa e la grigliatura di liquirizia.
Dai ritagli a julienne del torrone per la piccola pasticceria abbiamo cominciato a ragionare su un altro dessert. È per questo che preferisco la pasticceria da ristorazione a quella di laboratorio, proprio perché è più creativa». Cristiano si occupa anche della linea del pane che comprende due tipi di cracker e di grissini, focaccia e diversi tipologie di pane. «Adoro l’arte bianca, vedere il prodotto che cambia, la sorpresa che hai quando lo tagli» confessa Cristiano. Che continua comunque a studiare sui testi ma anche attraverso i video (da un video su Youtube ha imparato a intagliare la frutta). Il suo modello di riferimento? Leonardo Di Carlo perché è molto concentrato sulla parte scientifica. Poi è chiaro che non si può prescindere da Massari, come del resto è stata d’obbligo la tappa da Biasetto e la degustazione della sua “Sette veli” durante un viaggio in Liguria.
Scopri qui la ricetta del “Finto Toast” di Cristiano Pizzimenti
La voce della patronne Francesca Poli
«Fin dall’apertura nel 2011 volevo una ristorazione gourmet e innovativa, di sperimentazione che si distaccasse dalla tradizione parmigiana. Parma è un ex Ducato, con un livello della ristorazione tradizionale più alta di quello di Reggio – dove abbiamo il ristorante di famiglia – ma con precisi punti fermi a cui è ancorata. Se togli culatello, tortelli con erbette e anolini il cliente ha un attimo di smarrimento. Questo perché diamo per scontato che abbiamo i prodotti tra i migliori al mondo – come parmigiano e prosciutto crudo – che in quanto tali fanno la ristorazione. Il nostro presupposto è stato diverso: sono ingredienti da cui partire, il prosciutto diventa come la farina, il parmigiano è un ingrediente come un lievito madre, da utilizzare nelle panificazioni. Sì ai prodotti del territorio quando sono eccellenze, ma nessuna preclusione se arriva da migliaia di km di distanza, piuttosto che da Sala Baganza».
Francesca, che gestisce l’Inkiostro con il cugino Gianluca, riconosce le difficoltà di gestione di un’impresa di questo tipo oggi, ma i conti cominciano a tornare. E questo grazie anche alla sferzata che Giacomello ha dato verso una cucina gourmet spinta, che ha conquistato anche gli scettici palati parmigiani. Alla tenacia di Francesca, alla determinazione e passione dello chef e della sua squadra, chapeau. Francesca ha giocato d’azzardo, ed è stata lungimirante. Forse sarebbe stato un errore il contrario: puntare su un rassicurante ristorante di cucina tradizionale. Ce ne sono già troppi e di buon livello.