C’era una volta il “banchetto spettacolo”, la grande tavola per eccellenza creata e imbandita all’inverosimile per stupire gli ospiti e magnificare il potere di principi e di re. Costruzioni alimentari scenografiche ricreate con selvaggina, frutta, verdure e fiori, con primizie e cibi rari e preziosi. Così l’arte di convitare era uno strumento di comunicazione e il banchetto si trasformava in spettacolo e teatro delle meraviglie. Oggi i tempi sono cambiati, la cucina è passata attraverso mille trasformazioni. Più che al teatro, nell’epoca contemporanea la possiamo avvicinare, nella ricerca delle forme e dei colori, al design, all’arte e all’architettura. Lo chef Igor Macchia del ristorante La Credenza di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino, incarna perfettamente lo spirito di ricerca che anima tanti giovani chef. Nella sua cucina ama proporre architetture che a volte richiamano rigore e definizione geometrica, altre invece sembrano riprodurre nel piatto visioni e panorami, scorci di viaggi e immagini di paesaggi naturali. Il colore è fondamentale per dare luce e risalto agli ingredienti: le carni sembrano isole che fluttuano su mari rosso, arancio o verde acceso; le verdure si compongono a ricreare piccoli giardini zen o aspri scorci di terre ancora selvagge; i dolci si innalzano nel piatto come pinnacoli degli Tsingy o le rocce del Garden of Gods in Colorado. E come già sosteneva Marie-Antoine Carême, il valore di queste architetture lo si comprende solo mettendo in relazione i sapori, gli odori, i colori e le forme di tutti gli ingredienti.
Nei piatti di Igor Macchia ci si immerge totalmente solo se si considera ogni boccone nella sua interezza, se nulla viene lasciato da parte e ci si ferma in ascolto delle sensazioni che – poco a poco – il palato rileva. Il risultato? “Una cucina fusion, non confusion”, come la definisce perfettamente Giovanni Grasso, fondatore e titolare con Igor Macchia del ristorante La Credenza.