Un napoletano innamorato di Milano, una Milano innamorata di un napoletano. Andrea Aprea, 37 anni, dal settembre 2011 è l’Executive chef del ristorante Vun del Park Hyatt Hotel, appena fuori dalla Galleria, e in cucina ha sempre portato con orgoglio la sua terra campana. La sua cucina si esprime attraverso tre semplici fondamenti: tecnica, innovazione e rispetto per la tradizione gastronomica italiana. Partendo da una scrupolosa selezione delle materie prime, lo chef napoletano fa della sperimentazione e della continua ricerca di suggestioni, la propria cifra stilistica.
Mettere a tavola una clientela internazionale quali attenzioni richiede?
Non voglio sembrare presuntuoso, ma il Vun è un ristorante in albergo e non dell’albergo. Per cui i nostri tavoli solo in una minima percentuale, il 30%, sono occupati da chi alloggia al Park Hyatt. Questo significa che chi ci sceglie, sceglie di farsi guidare in un’esperienza unica. Il nostro ristorante Vun ha un’identità precisa, quella è. Indipendentemente da chi si siede al tavolo. Francese, cinese, tedesco o italiano non fa differenza. Chi viene da noi è già indirizzato, sa cosa trova. E viene per quello. Non per altro.
Gli ingredienti irrinunciabili nella tua cucina?
Pomodoro e olio extravergine.
C’è l’Expo dedicato proprio all’alimentazione. Come hai “cucinato” quest’evento?
L’Expo arriva a rafforzare un messaggio che è già un nostro imperativo e ci auguriamo che l’esposizione amplifichi questa esigenza di un cibo sano e sicuro. La nostra cucina non si distrae un attimo da questo concetto. Vogliamo sapere la provenienza di ogni nostro prodotto, ci avvaliamo soltanto di aziende con le quali instauriamo rapporti diretti e di reciproca fiducia. Carne, pesce, formaggi, verdure; qualità e genuinità. Sempre.
Sta diffondendosi la cucina vegana. L’Expo porterà nei vostri ristoranti anche molti di questi cultori. Vi state attrezzando?
Non sono vegano e la mia cucina riflette sempre quello che sono. Questo non significa che nella mia carta non ho piatti vegetariani. In particolare ricordo “Il Mio Orto”, una composizione di oltre 40 tra verdure cotte e crude, erbe gentili e selvatiche, fiori, germogli e tuberi. Ma la mia cucina non è vegana e non è indirizzata verso quella clientela. Niente contro i vegani, rispetto le loro scelte, ma quello che cercano non fa parte della mia cultura. Per capirci io il pout pourri non lo mangio.
E quindi non lo faccio.
Se ti dico Fabrizio Cadei cosa mi racconti?
Una persona di grande esperienza, solida. Uno capace di far quadrare i numeri in un hotel di grande prestigio e con capienze decisamente più ampie delle nostre. Uno che non si ferma.
In cosa lui è più bravo rispetto a te?
Non abbiamo mai lavorato insieme, ma lui è quello che io non riuscirei. Io prediligo ambienti di lavoro piccoli, lui ha la testa e il temperamento per tenere a bada decine e decine di coperti. Facendolo con classe, con cura e con pacatezza. E per riuscirci deve avere doti non indifferenti anche dal punto umano per tenere unita la squadra.
La ricetta che più ti rappresenta?
La caprese dolce salato, una versione contemporanea di uno dei piatti più consumati dagli italiani: pomodoro e mozzarella. Una delle mie intuizioni più felici e conosciute.
Inviti Fabrizio a cena. Dove lo porti e a mangiare cosa?
Nessun dubbio. Gli do l’indirizzo di casa mia. Gli cucino una cosa semplice ma con tutti i sapori di una volta: la pasta al pomodoro partenopea. Non se la dimenticherà facilmente.
A breve la “controintervista” a Fabrizio Cadei. Stay tuned!
Chef in albergo? Solo se sai come si fa!
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