Ecco perché abbiamo interrogato alcuni professionisti chiedendogli che cosa significhi per loro e come lo trasmettono all’estero. Made in Italy non è solo un brand. È un’espressione che deve testimoniare una cultura, delle tradizioni, delle eccellenze, un desiderio di lasciare un segno nel mondo per costruire un futuro che poggi su una tradizione di cui andare fieri. Made in Italy è espressione di passione, di orgoglio di appartenere a una nazione che ha saputo e che sa esaltare il bello e il buono. Made in italy è creatività, amore, senso del bello, capacità di creare veri capolavori.
Giorgio Giorilli, maestro panificatore
Scrivere una biografia in poche righe di Giorgio Giorilli è impossibile. Tutti lo conoscono in Italia e all’estero. Mi limito a ricordare che è stato il panificatore italiano che ha fatto conoscere i segreti dell’Arte Bianca all’estero: in Europa, in Cina, in Mongolia, in Corea del Sud, in Brasile, in Africa, in Giappone e persino in Mongolia.
Come spieghi il successo del pane italiano nel mondo?
Abbiamo una varietà di proposte che ci rende unici. Lo stesso vale per i lievitati. Basti pensare all’unicità di un prodotto come il panettone, richiestissimo in molti paesi. Il lievito madre lo abbiamo fatto conoscere noi e come lo facciamo noi non lo fa nessuno! Il nostro successo è determinato dalla nostra maestria, dalla nostra varietà di prodotti, dalla nostra abilità tecnica, dall’interesse crescente per la nostra gastronomia. Ricordiamoci che il pane accompagna la maggior parte dei nostri piatti.
Quando tieni i corsi all’estero, che cosa ti chiedono maggiormente?
La tecnica e poi le ricette.
Tra Francia e Italia chi vince all’estero?
I francesi sono arrivati prima di noi grazie al loro passato di colonizzatori, ma noi oggi stiamo recuperando il terreno. Il mio ultimo libro è stato tradotto in ben cinque lingue, questo significa che c’è molto interesse nei confronti della panificazione italiana.
Quali sono i paesi che a tuo avviso sono più attenti al made in Italy?
Brasile, Corea, Cina. Molta passione per le nostre proposte c’è in Mongolia, dove il pane bianco è molto apprezzato. In Russia l’interesse è più limitato in quanto sono abituati a mangiare pane di segale.
Pericoli di contraffazione?
Per il pane artigianale no.
Chiara Rossetto, ad insieme al fratello Paolo di Molino Rossetto
Sorridente, con lo sguardo pulito, Chiara Rossetto, “la creativa delle farine”, come è chiamata da famigliari e amici, è amministratore delegato, con il fratello Paolo, di Molino Rossetto, madre di tre figli e presidente della delegazione Confindustria Piovese. «Quella di Molino Rossetto è una storia di famiglia, di tradizione e di passione per il nostro lavoro, che si tramanda da oltre cinque generazioni. La nostra mission è quella di creare prodotti innovativi, semplici e veloci, intercettando le tendenze emergenti, rispettando l’eccellenza delle materie prime, impiegando tecnologie all’avanguardia. Il nostro successo è determinato dalla capacità del nostro cliente di trasformare la farina in ricette».
Qual è la forza del made in Italy all’estero?
Saper raccontare la nostra storia, trasmettere la nostra tradizione e la nostra cultura. Nessun paese al mondo è così ricco di prodotti che nascondono un capitale umano. All’estero ci invidiano le eccellenze, la creatività, la ricca varietà di prodotti. Siamo noi italiani a sottovalutarci, a non saper promuovere il nostro Paese.
A quali paesi stranieri guardate con attenzione?
Russia e Cina.
Denis Dianin, d&g patisserie
E made in Italy fu a Kuala Lampur. Infatti nella capitale malese a febbraio è stata aperto un atelier di pasticceria italiana. I finanziatori avrebbero potuto guardare alla pasticceria francese, ma hanno scelto l’Italia, lasciandosi affascinare dal profilo d’eccellenza di Denis Dianin. Ma Kuala Lampur è solo un punto di partenza. Infatti nei prossimi mesi è prevista l’apertura di numerosi punti vendita. Ai prodotti di Dianin sarà affidato il compito di conquistare i golosi delle più importanti città asiatiche: Tokyo, Hong Kong, Bangkok e Singapore.
Perché Kuala Lampur?
Tutto è iniziato dopo la constatazione del successo dei nostri prodotti proposti nelle fiere del Sud Est asiatico. Dopo un’attenta ricerca ci siamo resi conto della possibilità di poter fare concorrenza alla pasticceria francese, sicuramente vincente per l’estetica, ma talvolta a discapito del gusto. d&g patisserie, un’azienda in crescita, poteva diventare “la portavoce” della pasticceria italiana in Malesia.
Medesimi prodotti proposti in Italia?
Il mondo non è mai uguale, e così propongo una pasticceria italiana tenendo conto dei gusti locali, sempre garantendo l’eccellenza, anche laddove utilizzo materie prime malesi. Credo molto in questo progetto. Mi piacerebbe che il laboratorio malese diventasse un luogo di progettazione, dove fare ricerca e sviluppo. In Italia purtroppo questo è impossibile a causa di mille impedimenti burocratici. La Malesia sarà il mio laboratorio di idee. Qui formerò tre giovani italiani che avranno modo di crescere, di sperimentare nuove ricette, di ricercare nuove esperienze sensoriali da regalare anche ai nostri clienti italiani.
Che cosa è il Made in Italy?
La capacità di creare abbinamenti equilibrati, interpretare gli ingredienti, esaltandone la qualità.
Una lacuna?
Dobbiamo migliorare l’estetica.
Quanto conta l’arredamento?
La scelta è soggettiva, è giusto che emerga la personalità del pasticciere. L’arredamento deve esprimere un’idea di pasticceria. Oltre agli aspetti estetici, occorre sempre valutare quelli funzionali e tecnologici. In particolare bisogna prestare attenzione alla catena del freddo.
È tutelato il made in Italy all’estero?
La prima cosa che dovrebbe fare lo stato italiano è garantire agli artigiani di potere lavorare in Italia. Oggi purtroppo ciò non è sempre facile, soprattutto per i giovani che devono formarsi e per le start-up.
Expo 2015, un’occasione?
Si parla già di Dubai 2020, riguardo Expo siamo ancora alla finestra per vedere quali saranno le opportunità e le occasioni nei prossimi mesi. È di certo un’occasione, ma al momento non è stata sfruttata e comunicata fino in fondo, almeno dal nostro punto di vista.