Dati Nielsen ci dicono che i gusti degli italiani, in fatto di pane, stanno cambiando. Nonostante il pane artigianale rimanga la tipologia prediletta dai consumatori (87,9%), nel 2014 abbiamo assistito a una flessione del 3.8% nella produzione, al quale si sommerà un ulteriore 3% nel 2015. Il trend verso l’attenzione quasi maniacale per la qualità e il valore aggiunto dell’artigianalità rimane, ma, complici la crisi economica e i nuclei famigliari ridotti, tra gli italiani si sviluppa una tendenza opposta che va verso pani di piccola pezzatura, più economici sostitutivi del pane e al pane congelato. Ai produttori a questo punto non resterebbe che abbassare i prezzi, ma si rivelerebbe una battaglia non sostenibile e persa in partenza davanti ai costi concorrenziali della grande distribuzione. La soluzione sta invece nel sapersi valorizzare: puntare sulla differenziazione, arricchire i prodotti in modo da andare incontro ai nuovi stili di vita e continuare a garantire quella qualità esclusiva dei prodotti artigianali.
La società di oggi si è abbruttita di manie, malattie e intolleranze vere o facete, che se non si possono curare si possono almeno alleviare con il buon cibo, e a tavola, si sa, il pane è un grande protagonista. C’è chi ascolta il croccare della crosta sotto le dita, chi si gusta la mollica intinta nel piatto, chi al primo sguardo intuisce se quello nel cestino è o non è pane di qualità. Ma tutti si appassionano e soccombono alle mille e più caratteristiche della pagnotta, che sia più o meno lievitata, integrale, piena di semini o bianca come il latte. La differenza, neanche da dire, fa la differenza. Restare inermi davanti al cambiamento è una garanzia per l’insuccesso, bisognerà essere capaci di assecondare i gusti di single, stakanovisti, salutisti e intolleranti e assistere attivamente al passaggio da panetteria tradizionale a bakery: che non storcano il naso i tradizionalisti, fa parte del gioco.
E questo è l’elemento chiave, sapersi riplasmare. Anzi, rimpastare.
Tendenze opposte in panetteria
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