Il prodotto alimentare vanto dell’industria italiana, frutto della genialità imprenditoriale di Michele Ferrero, si chiama Nutella, ma non vi stiamo svelando un segreto. Proviamo a capire insieme le ragioni per cui questa crema di nocciole e cacao ha potuto raggiungere tali cifre di successo e come le riesca a mantenere in maniera costante, addirittura crescente, fin dalla sua uscita sul mercato nel 1964.
Partiamo dagli esordi, esattamente il 1806 durante le guerre napoleoniche, quando Napoleone diede l’ordine di interrompere il commercio con la Gran Bretagna, a dimostrazione della sua vittoria e della conseguente indipendenza dell’impero francese. Tutto ciò significò un disastroso blocco economico a livello continentale e un conseguente rialzo alle stelle di differenti prodotti alimentari, tra cui il cacao.
In Italia il problema si dimostrò cruciale specialmente per i cioccolatieri – in quel momento perlopiù piemontesi – che, costretti a trovare un’alternativa, iniziarono a utilizzare le pregiate e abbondanti nocciole provenienti dalla regione per sopperire alla mancanza della fava di cacao. Da questo fortuito connubio nacque il delizioso “gianduia”.
Lo stesso problema di mancanza di cacao si ripropose durante la Seconda Guerra Mondiale, momento nel quale un pasticcere di Alba, di nome Pietro Ferrero, nominò una crema di sua produzione a base di nocciole Pasta Gianduia e in seguito Giandujot, per richiamare l’antica maschera del carnevale piemontese. È nel 1964, con un’azienda ben avviata a sostenerla, che Michele Ferrero, figlio del suddetto Pietro lancia sul mercato la “Nutella”, l’inglese “nut” (nocciola) assieme all’orecchiabile “ella” italiana.
Il naturale evolversi del commercio, ha fatto si che un prodotto dal gusto ottimo e così universalmente apprezzato non abbia avuto intralci alla sua diffusione su scala mondiale. Rimane solo da capire come la sua iniziale natura di alimento ‘locale’, caratterizzato dalle nocciole delle Langhe, abbia potuto assumere tali volumi odierni.
Secondo i dati dell’Ocse, ogni anno si conta una produzione di 350mila tonnellate. L’azienda, con un fatturato di 8,1 miliardi di euro (2013), in crescita rispetto all’anno precedente, si affida al lavoro di 24.800 dipendenti e 5.300 collaboratori esterni. Venti sono gli stabilimenti produttivi sparsi in tutti i continenti che contribuiscono a rendere Ferrero un esempio di catena del valore nell’ambito agroalimentare, grazie a questa filiera diffusa in maniera globale. Si tratta dunque di una realtà industriale alimentare senza uguali che contribuisce alla creazione di un prodotto dalle caratteristiche inimitabili.
La lista degli ingredienti inizia con quella consistente quantità di zucchero (56%), che si fa garante dell’evidente dolcezza e piacevole viscosità del prodotto.
La prima caratteristica inequivocabile della crema piemontese è la sua spalmabilità, una capacità tecnica della materia che viene garantita, in maniera preponderante, dall’olio vegetale, oggi dichiaratamente di palma, con la quale viene prodotta. La materia grassa in questione, presente al 19%, è stata scelta rispetto ad altre per le sue evidenti proprietà tecniche. Selezionato tra oli con un basso impatto aromatico (differentemente, l’olio di oliva creerebbe evidenti problemi di sapore), l’olio di palma non risulta essere il migliore sotto il profilo nutrizionale, tuttavia la sua composizione in acidi grassi permette che possa avvenire un’ulteriore lavorazione, che gli garantisce una corretta stabilità. Una delle più importanti risorse di Ferrero è proprio quell’impianto di frazionamento (uno dei sette esistenti al mondo), che raffina il grasso vegetale così da estrarre solo la parte più pregiata dell’olio, mantenendo separata la frazione oleosa da quella solida. Il risultato è una materia grassa non suscettibile all’irrancidimento con un allungamento della sua shelf life, grazie ai tempi brevissimi della procedura e a un conseguente abbattimento dei costi.
La coltivazione della palma da olio, diffusa specialmente nei paesi tropicali, è quella che garantisce il rendimento più elevato: per ottenere la stessa quantità di olio di cocco, di colza o di soia occorrerebbero quattro volte tanto i terreni necessari all’olio di palma.
La rapida diffusione della coltivazione intensiva della palma, che sta avvenendo in paesi tropicali in via di sviluppo, sta avendo un forte impatto su questi Stati sia per quanto riguarda le economie locali sia per il loro welfare e ecosistema. Proprio per questo motivo, Ferrero, inserita dai consumatori tra le prime aziende al mondo in termini di affidabilità, è dal 2005 membro attivo della Tavola Rotonda per l’olio di palma sostenibile (Roundtable for Sustainable Palm Oil – RSPO), rifornendosi presso coltivatori della Malesia, della Papua Nuova Guinea e del Brasile, garantendo un’assoluta rintracciabilità della materia prima. L’impegno dell’azienda si è rafforzato inoltre tramite l’adesione al Palm Oil Charter, che lavora per un futuro contro la deforestazione, l’estinzione di specie animali e vegetali, l’emissione di gas serra e la violazione dei diritti umani.
Le nocciole, per quanto ingrediente più caratteristico, incidono sulla ricetta soltanto per il 13%. Grazie alla recente acquisizione del gruppo turco Oltan (ottobre ’14), il maggiore fornitore mondiale di nocciole, Ferrero si garantisce una costanza nell’approvvigionamento, che ovvia anche al rischio epidemie, perché confida pure nell’appoggio di produttori di altre nazioni, come Nuova Zelanda, Cile, Brasile.
E se in partenza era la Nocciola delle Langhe – la Tonda Gentile del Piemonte, ora prodotto certificato con il marchio IGP -, oggi la scelta più adatta verterà su quella varietà diffusa su scala mondiale in grandi numeri. Prerequisito fondamentale è una buona resistenza all’ossidazione, dal momento in cui i grassi ossidati dell’olio di nocciola coprono totalmente la parte aromatica, conferendo al prodotto finale una disgustosa nota di rancido. Ferrero si adopera in questo, selezionando soltanto nocciole che presentino le adeguate caratteristiche, inoltre l’azienda contribuisce a un risultato ancora migliore, procedendo alla sgusciatura solo nella parte più avanzata del processo.
Passiamo ora al cacao, 7,4 in percentuale, che grazie a un processo di alcalinizzazione vede neutralizzata la sua acidità, acquisendo un colore più scuro e un aroma più delicato. Anche per questo ingrediente l’azienda si è mossa in termini di certificazioni, stipulando una partnership con il circuito Fairtrade: l’impegno è quello di acquisire nei prossimi due anni 20mila tonnellate di cacao tramite il commercio equo certificato. In particolare, cooperative della Costa d’Avorio che grazie alla collaborazione con la multinazionale italiana, vedranno le loro coltivazioni migliorare in termini di professionalità, di sostenibilità, di guadagno.
Infine la parte casearia, che prevede latte scremato in polvere (6,6%) e siero di latte in polvere, in quantità minime. Grande cura è per l’introduzione nella catena di produzione di questi due ingredienti, in particolar modo per il latte scremato, che dopo il trattamento termico deve essere utilizzato, secondo le regole di produzione aziendali, entro cinque giorni, per evitare qualsiasi deterioramento.
Rimane a questo punto il quesito iniziale: che mondo sarebbe senza Nutella?
Possiamo rispondere che, grazie alla visione commerciale e industriale di Michele Ferrero, dopo cinquantuno anni di commercializzazione il prodotto influenza positivamente l’umore e il palato dei consumatori di settantacinque paesi nel mondo le economie di numerosi paesi in via del secondo e terzo mondo.
Che mondo sarebbe senza Nutella?
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