“Per Berlingaccio chi non ha ciccia ammazzi il gatto!”. Così vuole la tradizione, però guai a chi si attenti a provare manovre già incautamente menzionate in tv e che hanno avuto come conseguenza una radiazione a dir poco immediata dagli schermi.
Per Berlingaccio invece noi festeggiamo semplicemente il Carnevale, soprattutto se ci troviamo a Firenze o nei dintorni, perché lì, fin da tempi immemori, il giovedì grasso, usa avere questo singolare nomignolo.
L’etimologia del termine è antica ma non individuata: si dice possa derivare dalla ‘tavola’ tedesca (bretling), dal berlengo latino (sempre a significare tavola, mensa), oppure dal verbo latino pre + ligere (leccare con insistenza quindi gustarsi un pasto a pieno). Tant’è che poeti cinquecenteschi alla corte di Cosimo I di Firenze, utilizzavano il verbo berlingare per narrare di occasioni particolarmente goderecce.
Ad ogni modo, tutte le ipotesi non fanno che introdurci gentilmente nel magico mondo dei piaceri della tavola, e più in particolare, in quell’ingordo periodo di godimenti che precede la Quaresima.
Con il giovedì grasso si aprono le danze e in Toscana si affetta il berlingozzo, una sorta di ciambella preparata con uova, farina, zucchero, lievito, la scorza del limone o dell’arancia, olio extravergine di oliva e latte. Pare che l’intera regione prese spunto da Lamporecchio, un piccolo paese in provincia di Pistoia, dove ancora è radicata la tradizione degli artigiani pasticceri di preparare il dolce come una volta.
Altra golosità che, oltre in questa festa, perdura tutto l’anno, sono i Brigidini, sempre di Lamporecchio, in onore delle monache del convento di Santa Brigida che li inventarono. Si tratta di cialde croccanti composte di farina, zucchero, uova ed essenza di anice, a rendere unico il tutto.
Tornando verso il capoluogo, assaggiamo un dolce che rimarrà disponibile per l’intera durata della festività carnevalesca: la schiacciata alla fiorentina, una torta soffice ma sottile, preparata con farina, zucchero, latte, olio extravergine di oliva e lievito. A distinguerla sulla superficie, un grande giglio ricamato nello zucchero a velo, che vuole orgogliosamente confermare la sua appartenenza alla città.
Tutt’altro che fritto il carnevale toscano
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