Esattamente quando il Natale è ormai un ricordo mentre il Carnevale è alle porte, sovrapposizioni di congiunzioni astrali fanno si che il periodo che intercorre tra il 29 di gennaio e il 5 di febbraio sia, fin dai tempi dei tempi, un crogiolo di ricorrenze e, di conseguenza, di festeggiamenti.
Aprono le danze i gelidi giorni della Merla, dal 29 dicembre al 31 gennaio, per i quali la credenza padana e prealpina narra che un merlo, bianco in origine, per ripararsi dal freddo, fu costretto a calarsi giù per un comignolo, ma ne uscì allo scadere dei tre giorni completamente nero, a causa della fuliggine. Una storia popolare che si rivela specchio degli antichi rituali pagani, di buon auspicio per l’avvento della primavera, e che tutt’oggi viene celebrato nelle campagne lombarde con cori tradizionali e lauti banchetti, a cui non manca certo il maiale, ma nemmeno tutti le dolci fritture che anticipano la festa in maschera, come le lattughe o le frittelle.
Allo scadere del 2 febbraio invece la religiosa Candelora, nata per la benedizione delle candele, conservate dai fedeli come strumento di preghiera nelle occasioni di necessità, ma anche il ‘montanaro’ Giorno dell’Orso, che auspica il termine del letargo dell’animale. Infine l’americano d’importazione Groundhog Day, durante il quale ci si augura che la marmotta, una volta uscita dalla sua tana, non riesca a vedere la propria ombra, perché la cosa comporterebbe, grazie a queste ‘scientifiche’ formulazioni meteorognostiche, altre sei settimane di freddo prima dell’avvento della bella stagione.
Tutto si fa più cerimonioso, la portata dell’evento assume dimensioni da record in quel di Catania, quando ci si avvicina allo scoccare del 3 di febbraio, data d’inizio della festa patronale della città. Sant’Agata è la martire a cui l’intera comunità si dedica, adornando i palazzi e le chiese di lanterne multicolori, riempiendo le vie di fiumane di persone, in fila per la processione dell’anno.
Una macabra vicenda come quella del martirio della Santa e l’asportazione delle sue mammelle oggi ci gratifica grazie alla perfetta forma e sapore delle minnuzzi ri sant’Àjita, i seni della santa, ovvero piccole cassatelle siciliane, di base aventi la medesima ricetta con ricotta, pan di spagna e quella variopinta copertura di pasta reale e frutta candita, ma rimpicciolite nelle dimensioni per l’occorrenza.
A un episodio del suo martirio si rifanno invece le Olivette (aliveddi ri Sant’Àjita), piccoli ovali di pasta di mandorle – ottenuta dalla lavorazione della frutta secca con il miele – e colorati di verde: pare che la santa, mentre cercava di fuggire dai suoi persecutori, fermandosi per riposare, si imbatté in una pianta d’ulivo carica di frutti, dei quali si cibò fino a saziarsi.
Per non farsi mancare nulla, il torrone in tutte le sue declinazioni: il classico con mandorle, pistacchi, miele e zucchero caramellato, quello ricoperto di cioccolato o di vaniglia e quello nocciolato, con pasta gianduia ricoperto di cioccolato fondente. Infine, pure un po’ di calia e simenza, ovvero ceci e semi di zucca tostati e salati, da sgranocchiare durante l’intero arco della festa.
Feste finite? A quanto pare non si direbbe…
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