Non so se vi ricordate ancora funzionanti quelle grandi fabbriche che hanno reso possibile il boom economico italiano, ma certo ne avrete vista qualcuna abbandonata al suo destino. Ecco a Sant’Ambrogio di Torino, un ex cotonificio ed ex fabbrica di motociclette, grande esempio di architettura industriale, è stato in parte recuperato e – ristrutturato – trasformato in un birrificio da Bruno Gentile, titolare del Birrificio san Michele. La San Michele è una birra cruda, non filtrata e non pastorizzata, prodotta in un piccolo paese della bassa Val di Susa, S. Ambrogio di Torino, dominato da La Sacra di San Michele, un’abbazia dell’XI secolo, da cui la birra e il birrificio prendono il nome.
Il titolare del birrificio, Bruno Gentile mi racconta la sua storia e quella delle sue birre. «Nel 2010 con un vicino di casa, ad Avigliana, a pochi chilometri da qui, ho aperto un piccolo birrificio artigianale. Dopo qualche mese veniamo premiati per la produzione della migliore birra dell’anno dall’Associazione Italiana Birrai UnionBirrai. Con la birra Norma vinciamo l’edizione 2011, 2012 e 2013, mentre la Carmen nel 2011 ha conquistato il terzo posto. Nel frattempo ho deciso di continuare l’avventura da solo, trasferendo il birrificio a sant’Ambrogio di Torino, affiancando alla produzione una ampia sala per la degustazione e per le proposte enogastronomiche da abbinare alla birra».
È importante partecipare ai concorsi?
Sì, tanto che quest’anno parteciperò al Campionato del Mondo. Al di là della soddisfazione, è un modo per farsi conoscere e per condividere una passione. La San Michele è apprezzata anche all’estero, anche in quei paesi del Nord, dove è bevanda nazionale».
Dove distribuite la vostra birra?
È assai conosciuta in tutto il Piemonte, ma la vendiamo in tutta Italia e in alcuni paesi stranieri. È richiesta dai ristoratori, dai grandi alberghi e da quelle pizzerie che vogliono distinguersi per la qualità dei piatti proposti.
Quante birre producete?
Dieci referenze, pensate con caratteristiche differenti, per accompagnare i cibi, dagli antipasti fino ai dolci. Ho creato una carta della birra per inserirla in un contesto gastronomico.
Questo spiega l’investimento per avere un bello spazio per la degustazione e per la proposta culinaria?
Sì, certo. Al momento siamo aperti nel week end, alla sera. Seguiamo un format: il cibo a tema. Il tema non è dichiarato, è una sorpresa. Sono poi sempre disponibili taglieri con salumi e formaggi.
Proponete anche birre adatte ad abbinarsi con i dolci?
La Turandot è ottima con il cioccolato. Nel passato, quando organizzavo serate a tema presso altri locali, abbiamo proposto birra e panettone, avvalendoci della collaborazione del pasticciere Alessandro Dalmasso. Favoloso l’accostamento del panettone all’arancia con la Carmen e del pandoro con la Norma.
Il vostro target?
Il nostro è un locale elegante, che non prevede il servizio al tavolo, frequentato da una clientela dai 25 anni in su. Voglio creare un ambiente conviviale e raffinato.
Perché le vostre etichette richiamano i personaggi della lirica?
C’è un forte legame tra i caratteri della birra e quelli dei personaggi delle opere. Così, per esempio, Carmen è una birra passionale, dolce e amara nello stesso tempo; Turandot, al contrario, è complessa ed enigmatica.
Un’ultima domanda: perché ha deciso di produrre birra artigianale?
Per passione. Amo la birra di qualità e mi piace sperimentare.
La magia della birra artigianale
«In base al tipo e al colore di birra da produrre – racconta Bruno Gentile – miscelo diversi tipi di malto, poi macinati per esporre gli amidi al loro interno. Poi procedo all’ammostamento. L’acqua calda è unita al malto macinato. Così si ottiene la trasformazione in malto per la conversione degli amidi in zuccheri. La temperatura, compresa tra i 45°C e i 65°C, influenza la tipologia di zuccheri fermentabili e quindi il corpo e il grado alcolico della birra. Durante la bollitura, il mosto è sterilizzato, depurato da eventuali enzimi, si concentra e viene aggiunto l’amaro dei luppoli. Si procede poi con la fermentazione – la fase che mi affascina di più – di qui il lievito compie una vera magia: gli zuccheri e gli amminoacidi sono trasformati in alcol, anidride carbonica, sostanze aromatiche. La birra inizia a vivere! La birra viene infine imbottigliata e lasciata rifermentare per generare la sua naturale carbonatazione. Il lievito sul fondo permette la naturale conservazione della birra viva».
di Monica Viani
(articolo pubblicato sul numero di settembre della rivista Dolcesalato)