Negli Stati Uniti è già successo, i food deserts, i deserti del cibo, non fanno più notizia.In interi quartieri, soprattutto periferici, per trovare negozi che vendono cibi freschi devi prendere l’auto e fare diversi chilometri. La Confesercenti da tempo lancia l’allarme, l’Italia rischia la stessa “desertificazione”. Anche più grave. I centri storici di molte città sono una selva di negozi in franchising e di banche. La multinazionale, il centro commerciale vince, imponendo l’omologazione, la mancanza di rispetto dell’identità culturale del paese dove sorge. L’arte, l’architettura, il senso del bello si perde, si involgarisce. Tutto in nome del modello centro commerciale, un non luogo dove le differenze si perdono. Il cibo scompare, vincono i capi di abbigliamento, l’intimo, le scarpe. Cibo è anche convivialità, stare insieme, cultura, senso di appartenenza. Eliminare le botteghe che propongono prodotti alimentari, significa uccidere la socializzazione. Oggi le latterie sono spesso un ricordo, così le macellerie o i salumifici,stesso destino rischiano di correrlo i panifici e le pasticcerie. Si cancella la storia di intere città per creare il deserto, sinonimo di solitudine. Il commerciante, l’artigiano umanizza i prodotti, crea relazioni sociali. Chi resiste, fa un’azione politica (nel senso nobile della parola). E’ il caso di chiedere a gran voce politiche dedicate e di fare rete. Ecco un modo semplice di risolvere anche il problema del lavoro, ma spesso è più facile vincere le elezioni promettendo milioni di posti di lavoro piuttosto che operare in modo credibile e realistico. Di Monica Viani