“Qui è possibile comprare, mangiare o studiare i migliori prodotti italiani”. Così recita uno dei primi cartelli all’ingresso dell’ex stazione Ostiense. E prima ancora si legge: “Ci sono tre regole a Eataly: il cliente non ha sempre ragione. Neppure Eataly ha sempre ragione. Da questo meraviglioso dubbio nascerà la nostra armonia”. Una premessa che scardina i consueti modi di presentarsi al pubblico – con sicurezza e presunzione – spostandosi sull’umiltà e sull’invito al rispetto reciproco. Una visita a Eataly permette di scoprire un’infinita varietà di specialità italiane di alto livello. Ci si sente protagonisti di un viaggio alla scoperta di saperi e sapori lungo tutto lo Stivale. Eataly è la dimostrazione che l’unione fa la forza, che il proprio successo passa attrverso quello degli altri.
È un modo nuovo, concreto ed efficace per fare business e cultura, per insegnare a tutti, al mondo, che il patrimonio enogastronomico italiano non è una favola, è un’immensa ricchezza, che fonda le sue radici nella terra, nel mare e nel cielo. Nei saperi conquistati e tramandati dai nostri avi, nella biodiversità, nella diponibilita limitata di certe materie prime, che non puó essere superata da sistemi che forzano e distorcono la natura in nome del profitto, della globalizzazione. Tutti – consumatori e professionsiti del gusto – dovremmo farci 4 domande prima di volere una materia prima, un piatto o un prodotto: Cosa? Dove? Come? Quando? Dovremo convincerci che la materia prima eccezionale, per tutti non c’è. E neppure il prodotto lavorato a regola d’arte. Che i prodotti fuori stagione sono finti. Il cibo è propulsore dell’economia, ma questa deve essere sostenibile, cioè deve fare i conti con l’ambiente, i tempi della natura, i principi del lavoro e della salute dell’uomo. Ecco cosa pensa uno, o meglio una, quando esce da Eataly Roma.
Elisabetta Cugini
Cosa pensa uno quando esce da Eataly Roma?
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