Reality un nome che trae in inganno. In realtà è tutto falso, ciò che conta sono solo gli ascolti e i soldi. Non ce ne è uno che non sia la spettacolarizzazione del nulla, lontano dalla realtà del lavoro. Contribuiscono a creare una realtà falsa, priva di contenuti, spesso maleducata e volgare. La maggior parte usa la tecnica del frankenbiting: si tagliano e si ricuciono le scene considerate fiacche per creare lo spettacolo. Le puntate noiose sono rimontate dagli addetti al montaggio: inseriscono scene eterogenee spacciate come unica sequenza. Ormai il cibo in TV è diventato sinonimo di urla, rissa, lotta, aggressività. Tutti guardano a Gordon Ramsey e alle sue trasmissioni, una specie di compendio di insulti, mancanza di confronto, supponenza e arroganza. Gli chef, diventati intoccabili nel loro ruolo di giudici, sanno solo dispensare parolacce e umiliazioni. Anche laddove il reality non si basa solo su uno scontro di improbabili ricette, si dà una visione irreale della gestione di un locale. L’importante è dimostrare che lo chef santone sappia garantire la risalita da cucine rappresentate come l’inferno. Non si parla mai dei veri problemi di chi lavora: orari di lavoro, retribuzioni, qualifiche, capacità…Conta solo lo chef-imprenditore: la brigata è ridotta al ruolo di comparsa. Insomma tutto è banalità, falsità, forzatura. E se gli chef tornassero in cucina e, soprattutto, formassero realmente i giovani? Di Monica Viani
Il falso mondo dei reality
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