Italia export da record nella nicchia

Italia export da record nella nicchia

Nasce l’Osservatorio Gea-Fondazione Edison per indirizzare la crescita delle aziende italiane sui mercati esteri. Uno strumento che analizza in modo dettagliato l’andamento dell’export verso i Bric e i Next 11 (Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Corea del Sud, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia e Vietnam), offrendo alle aziende italiane la possibilità di individuare nuovi mercati per la crescita del loro business. “Considerato che i paesi emergenti guidano la crescita del PIL mondiale, tanto che nel 2016 rappresenteranno oltre il 41% del totale mondiale, di cui si stima che i soli 4 Bric raggiungano il 30,5% e che proprio nei Bric vive il 41,8% della popolazione mondiale, sono questi i paesi chiave per la crescita delle aziende italiane che, grazie a uno strumento come l’Osservatorio, potranno scegliere dove indirizzare i propri investimenti – afferma Andrea Carrara, Managing Director di GEA. EA ha scelto di collaborare con la Fondazione Edison perché crede nell’unione delle competenze e ritiene che la profonda conoscenza di entrambe le strutture del mondo dei distretti industriali e delle PMI italiane possa offrire uno strumento di analisi indispensabile alle aziende per la crescita del proprio business”.

 

LE AZIENDE ITALIANE E LO SVILUPPO ESTERO

 

L’incontro organizzato il 12 giugno  a Milano dall’Osservatorio Gea ha lo scopo di indicare i motivi per accelerare l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane, ovvero inseguire la crescita (ricercare le vie di sviluppo nei paesi emergenti, dove da anni si concentra la crescita), acquisire know how (lo sviluppo all’estero porta con sé l’opportunità di acquisire conoscenze che derivano dall’incontro di nuovi clienti, concorrenti e mercati), acquisire maggiore taglia dimensionale (per accrescere produttività, la propria visibilità di marca e risorse di R&S) e difendersi dai concorrenti stranieri (che sono cresciuti e che pongono un limite allo sviluppo estero, diventando anche una minaccia sul mercato interno).

I PRIMATI DEL MADE IN ITALY SUI MERCATI EMERGENTI

 

Come ha sottolineato Marco Fortis, vice presidente Fondazione Edison: “non è vero che di nicchia si muore, anzi esportare prodotti di nicchia può rappresentare una risposta agli attacchi dei paesi che propongono grandi produzioni. L’Italia ha la capacità di stare in tante nicchie diversificate. Noi abbiamo eccellenze, di cui parliamo troppo poco, rischiando di non farle conoscere. Contro ogni previsione nel 2011 l’export italiano è già tornato ai livelli pre-crisi. In Italia c’è un problema di debolezza interna, ma la competitività sui mercati esteri è positiva. Non dobbiamo cadere nei luoghi comuni, abbiamo discusso per anni di un declino immaginario. Se la produzione manifatturiera italiana resta stagnante (peraltro come nella stessa Germania), non è per mancanza di competitività ma per la debolezza della domanda interna. L’Italia ha troppe tasse, senza il vantaggio di una politica keynesiana”.

Lo scenario internazionale, così come risulta dal Trade Performace Index dell’WTO UNCTAD, che analizza i primi 10 posti delle classifiche mondiali di competitività del commercio estero di 14 settori – alimenti freschi; alimenti trasformati; legno e carta; tessili; chimica e farmaceutica; cuoio e calzature; manufatti di base; meccanica non elettronica; IT ed elettronica di consumo; componenti ed apparecchi elettrici ed elettronici; mezzi di trasporto; abbigliamento; altri manufatti diversi; minerali -, evidenzia che i primati del Made in Italy nel 2010 hanno fatto registrare 262,4 miliardi di dollari di esportazioni. Questo risultato evidenzia che l’Italia ha numerose eccellenze competitive che ricoprono importanti primati nella classifica dell’export mondiale, con 3 primi posti e 3 secondi posti, posizionandosi appena dietro la Germania (con 9 tra primi e secondi posti) e davanti alla Cina che, in questi 14 settori, vanta un solo secondo posto. L’elemento distintivo è rappresentato infatti dal Made in Italy e, in particolare, il settore delle 4A – ovvero Automazione, Abbigliamento,Arredocasa, Alimentari – i cui prodotti rappresentano le eccellenze dell’industria manifatturiera italiana che assicurano all’Italia posizioni di leadership a livello internazionale con significative performance nell’export.

A livello globale, è interessante notare che nel 2011 i più grandi e blasonati Bric, per l’Italia, rappresentano 27,8 miliardi di euro di export ma anche i Next 11 presentano la cifra comparabile di 23,6 miliardi di euro. Se prendiamo a riferimento i dati del 1999, la dinamica di crescita dei Bric per l’Italia è stata pari a 4 volte (da 6,7 a 27,8 miliardi di euro) e quella dei Next 11, sempre per l’Italia, è stata di 2,7 volte (passando da 8,7 a 23,6 miliardi di euro). Sui Bric, la Germania ha mostrato una dinamica di crescita superiore a quella italiana (6,5 volte), mentre sui Next 11 la dinamica è stata leggermente inferiore alla nostra (2,6 volte). Se i Next 11 saranno veramente i prossimi a sbocciare, come nello scorso decennio lo sono stati i Bric, si tratta di un’occasione irripetibile per la nostra industria nazionale.  “I dati elaborati dall’Osservatorio evidenziano come nel 2010 l’Italia si trovi al 4° posto assoluto, dopo Cina, Germania e Stati Uniti, per competitività nell’export mondiale tra i paesi del G20, con 923 prodotti in cui occupa posizioni di primo piano – spiega Marco Fortis,  Di questi, i prodotti in cui il nostro Paese è il 1° esportatore mondiale sono ben 239; 334 sono quelli in cui è in seconda posizione e 350 quelli in cui è al terzo posto. Il tutto per un valore complessivo pari a 173 miliardi di dollari”.

Tra i paesi più interessanti per l’export italiano, sia in termini di numero di prodotti che occupano i primi tre posti nella classifica dell’export mondiale sia per valore, c’è la Turchia, verso cui l’Italia nel 2010 detiene 1.535 tra primi, secondi e terzi posti, per un valore di 8.264 milioni di dollari. Nel settore alimentare 3 milioni di dollari derivano dall’export di farina e agglomerati in forma di pellets e 4 milioni da quello di cioccolata in tavolette o barre. Per la Russia possiamo citare vini, spumanti, vermouth (totale 150 milioni di dollari).

LE VIE PER LO SVILUPPO ESTERO

 

Per operare nel mercato estero, occorre conoscerlo, non sottovalutare le possibilità offerte dall’export cooperativo e non aspettarsi risultati immediati. Le aziende interessate all’estero devono avvalersi della collaborazione di persone che abbiano una proiezione verso l’export, che facciano propria la cultura del cambiamento, che sappiano mettersi in discussione, che sappiano riadattare l’offerta. Insomma le risorse umane sono importantissime.

 

E SUL PRODOTTO CHE FARE?

 

I punti di forza dei nostri prodotti sono riconosciuti dovunque. Viviamo immersi nel bello, tanto da non accorgercene; abbiamo grandi capacità nella meccanica, nel far funzionare le cose; siamo in grado di trasmettere emozioni, chi non conosce l’espressione “ la dolce vita”? Se esportiamo, dobbiamo mantenere la nostra identità, l’italianità, ma sapere andare incontro al gusto locale e farsi capire. Ad esempio, in alcuni casi, si dovrà rivedere il packaging, adattare le misure delle confezioni alle esigenze di consumo del luogo dove si esporta, cercare una traduzione del marchio e dello slogan a livello fonetico. Un punto irrinunciabile è lo studio del paese di sbocco con tecniche economicamente accettabili. Un esempio? Il crowd wisdom, ovvero sfruttare le potenzialità espresse dalle comunità straniere già presenti in Italia. Occorre una strategia dell’innovazione solida, per cui individuare attorno al prodotto quelle condizioni di servizio minime per consentire la vendita (sito internet in lingua, custode service locale…).Oltre al prodotto, occorre ripensare al business model:

1)      Esistono opportunità sul ciclo di vita del prodotto tra i paesi sviluppati e i next 11?

2)      Esistono forme di vendita e pagamento cautelanti, ma che facilitano la transizione?

3)      Come ripensare la catena logistica della fornitura?

E allora la prima cosa che dobbiamo fare è di non dare più all’estero l’immagine di un governo day by day. Dobbiamo uscire dalla stagnazione, formulare prima di tutto idee che aiutino davvero a crescere. La crescita non è una araba fenice, ma è soprattutto un problema culturale ed economico che dobbiamo risolvere al più presto. E quando non si sa bene che cosa può accadere, occorre anche avere il coraggio di provare! Monica Viani

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