Sulla statale Porrettana, che collega l’Emilia alla Toscana, s’incastona il ristorante Marconi, la cui storia affonda le radici nell’incontro tra i genitori di Aurora e Massimo. Il padre, chef bolognese, ha lavorato per anni nei ristoranti del capoluogo emiliano, la madre, siciliana d’origine, si è specializzata nel ruolo di “sfoglina” al seguito del marito. Risulta dunque facile capire come i due fratelli abbiano intrapreso la via della cucina lei, e quella del vino lui, con l’intento di portare avanti il mestiere di famiglia. Dall’ottima cucina di pesce che aveva caratterizzato il ristorante di proprietà dei genitori, aperto nel 1983, a una cucina che appartiene più ai figli, contraddistinta da un legame vivo con il territorio, una cucina contemporanea, naturale, pulita e di carattere. Aurora e Massimo, si fanno da contrappunto, rivelando una profonda intesa sulle assi portanti del loro modo di operare: entrambi attenti alla ricerca della materia prima e sulla materia prima. Alla base, il rapporto con i fornitori, orgogliosamente elencati nel menù, un rapporto di reciproca conoscenza ed estrema fiducia. «Sappiamo come coltivano le verdure che acquistiamo o come allevano gli animali che trattiamo – afferma Massimo. In questo senso il binomio ristorazione-agricoltura acquista un valore nobile, attiva un circuito che stimola entrambe le parti all’incremento della qualità globale, ossia qualità in ogni punto della filiera in un contesto che mira a rispettare l’ambiente, le persone, la natura e quindi il prodotto. Oggi si può definire la cucina del Marconi – ristorante pluripremiato da targhe, guide e trofei – un’espressione matura e coerente, frutto di un lungo percorso di studi e dedizione da parte dei fratelli Mazzucchelli. Una cucina che indaga il piano delle emozioni servendosi della tecnica, dissimulata dalle descrizioni dei piatti nel menù. Come dice Aurora «la tecnica è solo uno strumento per tradurre ciò che sento». Di sentire, di “sensibilità” ci parla Aurora. «La cucina s’impara dice la chef – ma la sensibilità è una dote. Ce l’hai o non ce l’hai. Punto». In cucina si muove come una pittrice: parte da un’emozione, una visione, un concetto, un ricordo, e lo impreziosisce con “pennellate” di “colore” per giungere all’obiettivo, che deve sempre essere chiaro, pulito. “Risotto al profumo d’Autunno”. Non c’è niente di più chiaro: percepire nel riso il profumo delle foglie bagnate, che capita di sentire durante le passeggiate dopo la pioggia, quando le foglie ti guardano dal basso. «In questo caso – ci spiega Aurora – ho creato un piatto decisamente orientato al sapore amaro, che gioca sulle sensazioni di terroso e umido». Si prenda ancora la tartare d’oca con salsa al tè nero Lapsang Souchong: una cucina dunque ambiziosa e coraggiosa, che non imbocca la strada conosciuta, quella più facile, ma mira a garantire un’esperienza unica, che punta diritta al cuore. Elisabetta Cugini
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