Nel Trapanese, le saline offrono uno spettacolo teatrale e suggestivo, specchio di un’economia ancora artigianale, secondo il metodo della coltivazione, lasciando evaporare l’acqua del mare immessa in vasche salanti nel periodo invernale. Banale richiamare le suggestioni offerte da un paesaggio da sogno, forse è più utile ricordare come si produce un prodotto, che tutti utilizzano, ma che pochi sanno come si ottiene. L’acqua entra nella prima vasca, per poi passare nelle successive grazie ad un flusso regolato dall’uomo. Il sole e il vento provvedono all’evaporazione in modo da aumentare la concentrazione salina. Si arriva così ad una vasca servitrice, dove l’acqua è satura, pronta ad essere immersa nelle vasche salanti. Il punto di saturazione, per cui un liquido diventa solido, è raggiunto a 25 gradi baumé. La formazione del sale avviene tra giugno e settembre. Il sale è raccolto a mano, si formano cumuli in spazi adiacenti alle vasche salanti. La salina ha quattro tipi di vasche, diverse per differenza di livello: dalla fridda si passa al “vasu coltivu” (vasche evaporanti), poi nel caure (vasche servitrici) e in un’altra vasca dove si raggiunge una salinità di 25 gradi di Baume. A marzo le vasche salanti sono pulite dalla fanghiglia accumulatasi in inverno. Si procede all’introduzione dell’acqua marina. Il periodo di coltivazione va da giugno a settembre con due raccolti all’anno. Presso la Salina Calcara si può trovare ancora uno schifazzo, una barca da lavoro, utilizzata per il trasporto del sale dai luoghi di produzione. Ricordiamo anche la tradizione di organizzare una grande festa quando si prosciugano le acque. Dall’8 al 24 dicembre si organizzano pranzi a base di pesce condito con olio extra vergine d’oliva e un pizzico di fior di sale.
L’oro bianco di Sicilia
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